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Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



venerdì 10 marzo 2017

Nelle sale italiane dal 9 marzo Mister Universo, menzione speciale a Locarno - La recensione di Marina Pavido


Mister Universo è l'ultimo lungometraggio diretto daTizza Covi e Rainer Frimmel, terzo capitolo di una trilogia che comprende La Pivellina (2009) e Der Glanz des Tages (2012).
Ancora una volta il circo, ancora una volta una personalissima messa a fuoco su uno degli artisti che vi lavorano. Questa volta, nello specifico, i due registi si sono concentrati sul giovane Tairo, amante degli animali ed estremamente pragmatico, con apparentemente un unico “tallone d’Achille”: un pezzo di ferro piegato, a suo tempo, dal forzuto Arthur Robin, eletto Mister Universo nel ’57. Tale pezzo di ferro è sempre stato per Tairo una sorta di talismano, un portafortuna di grande valore affettivo. La sua perdita, dunque, spingerà il ragazzo a viaggiare da Roma a Milano, con varie tappe, al fine di ritrovare Arthur Robin e di farsi piegare appositamente un altro ferro.
Ed ecco che la magia, così come le superstizioni di ogni genere (in particolare per quanto riguarda il personaggio di Wendy, la ragazza di Tairo) diventano attrici principali in questa nuova sfida della coppia di cineasti. Ciò che, però, in questa operazione, maggiormente cattura l’attenzione è proprio la singolare messa in scena adottata, la quale – proprio per la forma a metà strada tra il lungometraggio a soggetto ed il documentario – si rifà in tutto e per tutto alla tecnica del pedinamento proclamata a suo tempo da Cesare Zavattini. E, di fatto, Mister Universo – come anche, d’altronde, La Pivellina e Der Glanz des Tages – ha ad un primo momento, tutta l’aria di essere un documentario in piena regola, salvo poi venire a conoscenza del fatto che il soggetto – senza una vera e propria sceneggiatura, ma con battute improvvisate (a volte, bisogna riconoscerlo, in modo non del tutto spontaneo, soprattutto per quanto riguarda alcuni personaggi secondari) da attori non professionisti nel ruolo di loro stessi seguendo una sorta di “canovaccio”- è stato precedentemente scritto a tavolino dagli stessi autori.
E poi c’è il circo. Il fatto di stare a rappresentare, qui, un mondo “fuori dal mondo”, che potrebbe addirittura scomparire un domani contribuisce a regalare al prodotto finale quel tocco di magia e di mistero che ben si sposa con la messa in scena estremamente realista adottata. È un circo, quello mostratoci da Tizza Covi e Rainer Frimmel, mai “spettacolare” (fatta eccezione, forse, per la scena finale che vede Wendy esibirsi come contorsionista), mai felliniano, così come mai inquietante o sinistro, come i cari vecchi Robert Wiene e Tod Browning ci hanno insegnato. Un circo che, però, sta a rappresentare qualcosa di magico e di estremamente fragile, effimero, quasi una dimensione fiabesca in cui i protagonisti sono immersi. E che non può che, di conseguenza affascinarci tutti.
Perché, di fatto, questo ultimo lavoro della coppia di cineasti - perfettamente in linea con tutta la loro filmografia, del resto – ha come scopo principale quello di catapultarci per poco meno di due ore in un mondo a sé – che in realtà ci è molto più vicino di quanto possiamo immaginare – facendoci perdere, per un attimo, il contatto con la realtà, facendoci dimenticare, durante tutta la durata del lungometraggio, della realtà che ci circonda. E non è forse anche questa una delle finalità del cinema, d’altronde?
Marina Pavido


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