Descrizione

Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



venerdì 28 aprile 2017

XIX° Far East Film Festival – i film scelti per noi da Marina Pavido: Over the fence


Con questo suo penultimo lavoro il regista, sceneggiatore ed attore giapponese Nobuhiro Yamashita ci presenta la storia dell’incontro tra Shiraiwa e Satoshi, entrambi con alle spalle il loro passato.
Shiraiwa è un quarantenne fresco di divorzio. In attesa di trovare un nuovo impiego si trasferisce al suo paese natale ed inizia una scuola di falegnameria. Una sera, in un locale, incontra la bella e stravagante Satoshi, una cameriera che sa imitare alla perfezione i versi degli uccelli e che, tuttavia, dimostra anche qualche segno di squilibrio mentale. Non sarà facile per i due venirsi incontro ed imparare a conoscersi.
Basterebbero, in realtà, solo i due protagonisti come unici attori sullo schermo, affinché questo ultimo lavoro di Yamashita funzioni. Perché, di fatto, in tutta la loro stranezza sono entrambi talmente perfetti e magnetici da catalizzare immediatamente su di loro l’attenzione. Shiraiwa ha un passato difficile: la sua ex moglie ha cercato di soffocare la loro figlioletta di pochi mesi. E se fosse lui stesso il responsabile della follia della donna? A comprendere ciò può aiutarlo soltanto Satoshi, considerata da tutti eccessivamente sopra le righe, quasi al limite della pazzia. Un uccello prigioniero all’interno di una gabbia costruita dalle più grette convenzioni sociali, alle quali non ha mai voluto adattarsi. È per questo, forse, che solo immedesimandosi nei volatili può immaginare di riuscire a volare lontano dal posto in cui vive. Probabilmente, però, per riuscire a spiccare davvero il volo oltre le barriere della gabbia in cui si trova, avrà bisogno di un compagno, al quale, magari, lei stessa potrà insegnare a volare.
Fin da subito Yamashita, nel raccontarci questi due singolari personaggi,
lavora di sottrazione: non vi è spazio – se non quando strettamente richiesto – per dialoghi superflui o musiche ingombranti. Ciò che viene detto ci dà solo una chiave per interpretare il tutto. Le azioni dei due protagonisti sono, a tal proposito, decisamente significative: mentre Satoshi cerca di abbattere le barriere che la circondano liberando tutti gli uccelli dalle gabbie nel luna park in cui lavora, Shiraiwa, dal canto suo, non fa che costruire una sorta di “gabbia” in legno presso la scuola che sta frequentando. Solo con il tempo – e con un lungo, difficile e spesso doloroso percorso interiore, i due riusciranno finalmente a sincronizzare le loro azioni puntando verso uno stesso obiettivo.
Nel frattempo saranno scene di grande poesia e di grande potenza visiva a raccontarci passo passo la loro storia. Di notevole bellezza, a tal proposito, il momento in cui i due ragazzi, di notte, dopo aver raccolto nel luna park deserto una grande quantità di piume di uccelli, le lasciano volare via una dopo l’altra mentre viaggiano in scooter. Momenti che potrebbero essere definiti quasi al limite del surreale che solo uno sguardo attento come quello di Yamashita – il quale, a sua volta, sembra non disdegnare affatto eventuali suggestioni dalla cinematografia del collega Takeshi Kitano – riesce a catturare così bene.
L’unica pecca – se così può essere definita – è, in realtà, una seconda parte eccessivamente telefonata che va a terminare in un finale pericolosamente retorico. Ma, si sa, per la piega che il lungometraggio ha preso fin dall’inizio, aspettarsi un esito del genere è quasi scontato. Dato il regalo che ci ha fatto con questo suo lavoro, però, scivoloni del genere li si perdona facilmente ad un cineasta come Nobuhiro Yamashita. Il quale, giusto per restare in tema, malgrado la giovane età, il volo lo ha già spiccato da diversi anni.

Ritorna il NORDIC FILM FEST 2017 VI^ Edizione


Roma da giovedì 4 a domenica 7 maggio per la sesta edizione della rassegna che nasce con l’intento di promuovere la cinematografia e la cultura dei Paesi Nordici (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia), a cura delle quattro ambasciate nordiche presenti in Italia e con la collaborazione del Circolo Scandinavo di Roma.
I NUMERI DI NFF 2017
Complessivamente sono presentati  14 film, un documentario, 8 corti, un video art rispettivamente dalla Danimarca 2 film, dalla Finlandia 3 film ed un documentario, dall'Islanda 2 film, dalla Norvegia 4 film ed un  corto, dalla Svezia 3 film ed un corto ed infine il Circolo Scandinavo nel suo spazio presenta 6 corti ed un video art.
La rassegna, che si svolgerà presso la Casa del Cinema di Roma è realizzata anche in collaborazione con l’Ambasciata di Islanda di Parigi, i Film Istitute dei rispettivi paesi e con il patrocinio del Comune di Roma. Oltre alle proiezioni, in lingua originale con sottotitoli in italiano e a ingresso libero, il programma prevede presentazioni e incontri con ospiti internazionali (registi, attori, produttori, sceneggiatori).
Il tema principale della rassegna di quest’anno sarà “IL  VIAGGIO”, articolato in tutte le sue declinazioni.
Ad aprire il Nordic Film Fest, giovedi 4 maggio, Il Bianco Pastore Di Renne (Valkoinen peura - 1952), di Erik Blomberg (Finlandia). Sempre giovedi 4 maggio, saranno proiettati: Pathfinder (Veiviseren - 1987) di Nils Gaup (Norvegia); The Happiest Day In The Life Of Olli Mäki (Hymyilevä mies – 2016) Vincitore della sezione “Un Certain regard” al Festival di Cannes 2016 di Juho Kuosmanen (Finlandia).
Venerdi 5 maggio saranno proiettati: Virgin Mountain (Fúsi - 2015), premiato al Tribeca Film Fest 2015 come miglior film narrativo, migliore attore e migliore sceneggiatura, Vincitore del Nordic Council Film Prize 2015 del regista Dagur Kári (Islanda); In Order Of Disappearance (Kraftidioten - 2014) del regista Hans Petter Moland (Norvegia); Nice People (Filip & Fredrik presenterar Trevligt folk – 2015) di Karin af Klintberg e Anders Helgeson (Svezia); Long Story Short (Lang historie kort - 2015) Premiato ai Bodil Awards 2016 (Oscar danese) come migliore attrice e migliore sceneggiatura di May el-Toukhy (Danimarca).
Sabato 6 maggio saranno proiettati: Kaisa’s Enchanted Forest (Kuun metsän Kaisa - doc. - 2016) di Katja Gauriloff (Finlandia); Passeri (Sparrows - 2015) di Rúnar Rúnarsson (Islanda); Staying Alive (2014)  di Charlotte Blom (Norvegia); Sami Blood (Sameblod - 2016)Vincitore del Dragon Award Best Nordic Film e del Sven Nykvist Cinematography Award al Göteborg Film
Festival 2017. Premiato al Thessaloniki International Film Festival, al Tokyo International Film Festival e alle giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia di  Amanda Kernell (Svezia).
Infine, domenica 7 maggio Viskan Miracles (Miraklet i Viskan - 2015)di John O. Olsson (Svezia); Inuk (Le voyage d'Inuk - 2012) di Mike Magidson (Danimarca); Little Wing (Tyttö nimeltä Varpu - 2016) di Selma Vilhunen (Finlandia) e infine The Wave (Bølgen - 2015) Candidato agli Oscar dalla Norvegia come miglior film straniero di Roar Uthaug (Norvegia).
Evento collaterale della manifestazione sarà la mostra fotografica (27 aprile – 23 maggio) “DONNE FORTI LUCE TENUE - Un percorso nella storia del cinema finlandese” in occasione dei 100 anni dell’indipendenza della Finlandia.
Come nella passata edizione ci sarà una sezione dedicata agli sceneggiatori nordici a cura di WRITERS GUILD ITALIA, in collaborazione con SIAE - Società Italiana degli Autori ed Editori, con masterclass tenute da sceneggiatori e rap- presentanti dell’industria cinematografica dei Paesi Nordici.
Sempre durante il NORDIC FILM FEST 2017, WRITERS GUILD ITALIA ha organizzato, in collaborazione con ANICA, le Ambasciate dei Paesi Nordici e il Circolo Scandinavo, anche un pitch-day per progetti televisivi e cinematografici destinati alla coproduzione.
In collaborazione con ANICA e WRITERS GUILD ITALIA, venerdì 5 maggio ci sarà un momento di approfondimento sulle pari opportunità nel cinema con il seminario “Verso un’industria del cinema più paritaria esperienze, iniziative e strategie nordiche e italiane a confronto”.
NORDIC FILM FEST si avvale anche quest’anno dell’importante partnership con IED (Istituto Europeo di Design) che ha realizzato la sigla originale.
Evento collaterale della manifestazione sarà la mostra fotografica (27 aprile 23 maggio) “DONNE FORTI LUCE TENUE - Un percorso nella storia del cinema finlandese” in occasione dei 100 anni dell’indipendenza della Finlandia.
Un altro importante evento parallelo, il 6 e 7 maggio, sarà l’edizione romana del festival di cultura nordica BE NORDIC, a cura delle quattro organizzazioni ufficiali turistiche dei Paesi Nordici (VisitDenmark,Visit Finland, Innovation Norway e VisitSweden), per la prima volta a Roma dopo il successo delle edizioni milanesi. Gli amanti della ”luce del Nord” avranno l’occasione di vivere in prima persona lo stile di vita nordico nelle sue diverse sfaccettature, dal design alla gastronomia, dalla musica alla letteratura, con particolare attenzione per l’ambiente e la sostenibilità, in un padiglione esterno allestito per l’occasione, una vera e propria full immersion nel nord d’Europa.
Inoltre in occasione del centenario del primo Congresso Nazionale dei sámi avvenuto il 6 febbraio del 1917 a Trondheim in Norvegia, dove si sono riuniti per la prima volta i sámi provenienti dalla Norvegia e Svezia, che nel 2017 viene celebrato dai sámi in Finlandia, Norvegia e Svezia, il logo del NORDIC FILM FEST richiamerà i colori della loro bandiera e ci saranno film e corti dedicati a questa popolazione nordica.
Infine la collaborazione tra GNAMMO e NORDIC FILM FEST darà la possibilità di unire cinema e cucina per favorire la conoscenza delle culture delle cinque nazioni a cui il Festival voce sugli schermi cinematografici e a cui Gnammo dà un sapore, grazie alle competenze e alla creatività dei cooks della sua community. Dalle tavole alle poltrone, per dare corpo al binomio “cinema & cibo”, tanto caro ai filmmakers. Le cene, con menù ispirati alle cucine dei paesi partecipanti per promuovere la manifestazione cinematografica, saranno cinque, una per ogni paese nordico e preparate dai cooks della community nel periodo 26 aprile - 3 maggio.

XIX° Far East Film Festival - i film scelti per noi da Marina Pavido: VANISHING TIME: the boy who returne


Nell’ultimo suo lavoro il giovane cineasta sudcoreano Um Tae-hwa, ci parla di una bambina solitaria appassionata di esoterismo, di un compagno di classe innamorato di lei e di un gruppo di amici e la voglia di vivere ogni giorno nuove avventure. È da qui che prende il via tutta la vicenda.
La freschezza, la gioia di vivere dei protagonisti fa sì che tutti noi durante i primi minuti torniamo con la mente inevitabilmente a Stand by me. Eppure, nel momento in cui i ragazzi scoprono un misterioso uovo fluorescente all’interno di una grotta, ecco che la situazione sembra prendere tutta un’altra piega: in seguito alla rottura dell’uovo la terra inizia a tremare, la giovane protagonista – allontanatasi per un attimo dal gruppo – si ritrova da sola ed i suoi amici sembrano misteriosamente scomparsi. Sarà proprio lei, unica superstite, ad essere accusata dalla gente del luogo per quanto riguarda la responsabilità dell’accaduto. Ma, di fatto,
cos’è che è realmente accaduto? Ed ecco che il tempo fa il suo gioco, arrestandosi apparentemente per il mondo intero ma continuando a scorrere solo per pochi altri, i quali, a loro volta, saranno inevitabilmente costretti a pagarne le conseguenze. Dall’altro lato abbiamo la società: severa, impietosa, timorosa nei confronti di ciò che è “diverso”. Quasi come se, con le sue leggi rigide e severe, costringesse ogni singolo abitante ad essere in un determinato modo, giudicandolo e sorvegliandolo costantemente. Molto interessante, a tal proposito, il ruolo che il regista ha assegnato alle telecamere: è inquadrato in dettaglio, non appena partono i titoli di testa, l’obiettivo, ancora chiuso, della telecamera di un’assistente sociale che sta per intervistare la bambina; nel momento in cui tale obiettivo si apre, ecco che prende il via la vicenda. Sono numerose telecamere, tra l’altro, ad essere disseminate per tutta la cittadina. A loro il compito di fermare ogni eventuale sospetto. Sì è costantemente osservati, ogni piccolo gesto viene registrato. Guai a chi prova a sgarrare.  Dal canto suo, anche la location dove si svolge la vicenda è alquanto indicativa: una piccola cittadina circondata da fitti boschi su di un’isola che sembra essa stessa fuori dal tempo. Un’isola da cui non è facile andare via. Un’isola che, in luce di quanto appena detto, diviene degna e fedele trasfigurazione di ciò che è oggi la Corea del Nord. Dall’altro lato, però, abbiamo il mondo dei bambini. L’unico mondo ad essere rimasto “incontaminato”. Un mondo dove l’amicizia, l’amore, la libertà fanno da protagonisti assoluti insieme a dettagli di volti, di sorrisi, di occhi, di piccoli ma preziosi oggetti messi in risalto da una regia attenta e curata, dove nulla è lasciato al caso. Un mondo, questo dell’infanzia, che, alla fine dei giochi, non può non risultare vincitore assoluto. Peccato che, al termine di un’operazione così interessante, Um Tae-hwa abbia calcato un po’ troppo la mano, inquadrando i due protagonisti – la bambina ed il suo migliore amico – su di una nave completamente vuota che naviga libera in mare. Tuttavia viene facile perdonare piccole cadute di stile del genere, se si pensa al prodotto nel suo intero. Malgrado, infatti, la relativamente poca esperienza del cineasta coreano, il risultato finale dimostra indubbiamente una straordinaria maturità. Evidentemente l’aver fatto per anni da aiuto regia al grande Park Chan-wook la differenza la fa eccome.

mercoledì 26 aprile 2017

Scompare il Regista USA Jonathan Demme


Aveva compiuto da poco i 73 anni e se ne andato dopo aver combattuto a lungo un tumore. E’ stato l’autore e Premio Oscar del film Il Silenzio degli Innocenti interpretato da  Anthony Hopkins nel ruolo di Hannibal Lecter e Jodie Foster (Demme avrebbe preferito Meg Ryan); per lo stesso film, viene premiato anche al Festival di Berlino del 1991 con l'Orso d'Argento e il DGA Award. Nel 1993 con il travolgente Philadelphia
negli anni della scoperta dell’AIDS. Il protagonista Tom Hanks vinse con questo film il Premio Oscar. Nel 2003 gira un documentario impegnato, The Agronomist e l'anno successivo The Manchurian Candidate con Meryl Streep e Denzel Washington, attore tra i suoi favoriti. Nel 2012 è presente al Festival del Cinema di Venezia con il docu-film Enzo Avitabile Music Life. Nel 2015 è presente al Festival del Cinema di Venezia come presidente della sezione "Orizzonti". Gli si deve un grazie non solo per questi film ma anche per altri di meno successo  e tuttavia coinvolgenti a raccontare storie drammatiche e anticonvenzionali, ma anche per i numerosi documentari realizzati dedicati al mondo della musica, della radio popolare e della politica.

lunedì 24 aprile 2017

XIX° Far East film Festival - I film scelti per noi da Marina Pavido: At Café 6

Opera prima del regista taiwanese Neal Wu, tratta dall'omonimo romanzo dello stesso autore. Quanto può essere forte un amore nato tra i banchi di scuola? Dove è capace di arrivare la vera amicizia? È possibile che una storia resista alla distanza? Sono questi tutti gli interrogativi che il regista qui si pone, raccontandoci le vicende di Guan Ming-lu, studente liceale innamorato della bella Xin-rui. Tra litigi tra compagni di classe, gite e scherzi tra amici, i due alla fine si metteranno insieme. Le cose, però, si faranno complicate nel momento in cui i due ragazzi andranno a frequentare due università diverse.
Che questa sia l’opera prima del regista taiwanese si intuisce facilmente. Innanzitutto, ciò che lo contraddistingue è una particolare freschezza, una gioia di vivere che permea soprattutto la prima parte del film. È questo il momento in cui, spesso e volentieri, il montaggio sembra seguire delle regole tutte sue, quasi volesse seguire il ritmo di una musica ideale. Non a caso, infatti, è la stessa musica a fare da protagonista in molte sequenze (interessante, a tal proposito, la scena della rissa tra ragazzi, montata per intero al ralenty, con le note di Johann Strauss in sottofondo), stando quasi a ricordare un videoclip. Nella seconda parte del lungometraggio, però, le cose cambiano radicalmente: al via, ora, attese, viaggi, silenzi, litigi ed incomprensioni. Il tutto raccontato con una messa in scena decisamente più classica: montaggio lineare, uso moderato della musica, regia curata ed essenziale. Quasi come se la freschezza dell’adolescenza fosse pian piano svanita. Non sempre Neal Wu riesce a gestire come si deve tale cambio di registro. Più che altro fatica parecchio a dare al tutto una certa, necessaria fluidità. Stesso discorso vale per la gestione dei numerosi flashback presenti: troppi, troppo frequenti, decisamente eccessivi e a volte fuorvianti per una storia che pur partendo bene, man mano che ci si avvicina al finale tende ad essere sempre più forzata e stiracchiata, fino a risultare addirittura troppo caricata. Con tanto di inutile
spiegone subito dopo i titoli di coda.
Nonostante ciò, come già è stato detto, questo lungometraggio di Neal Wu ha dalla sua una certa onestà e genuinità. Non pretende di essere più di quello che è e fin da subito si intuisce innanzitutto il fatto che la storia sia sentita dall’autore fino in fondo. Senza contare che, di quando in quando, vi sono non pochi momenti particolarmente interessanti – ed estremamente poetici – da un punto di vista prettamente registico (la scena della gita fuori città con i compagni di liceo ne è un esempio, così come l’immagine del migliore amico del protagonista – ormai adulto - che ricorda il passato in riva al mare, danzando come erano soliti fare entrambi da ragazzi). Ad ogni modo, un'interessante operazione.Marina Pavido

Festival del Cinema Spagnolo 10ª edizione Roma, 4 / 9 maggio 2017 c/o Cinema Farnese


Ospiti la star Belén Rueda e la regista Inés Paris che presentano la black comedy 'La notte che mia madre ammazzò mio padre'; per l'inaugurazione l'attrice, Premio Goya, Anna Castillo per 'El Olivo' e tante altre figure del cinema spagnolo.
Si tiene a Roma dal 4 al 9 maggio 2017, come di consueto al Cinema Farnese di Campo dè Fiori, la decima edizione del Festival del Cinema Spagnolo. La manifestazione, che da sempre si è connotata come itinerante, farà quindi tappa a Reggio Calabria, dal 10 al 13 maggio (Università per stranieri); Senigallia dal 27 al 31 maggio (Cinema Fenice); Trento, Trieste e Treviso dal 29 maggio al 1 giugno; Perugia dal 7 al 11 giugno (cinema Postmodernissimo); Torino, dal 14 al 18 giugno (cinema Centrale); e poi in arrivo anche Milano e Bergamo.
Ad aprire il festival, l'acclamato, inedito, film di Iciar Bollaín, “El Olivo”, che
sarà presentato a Roma dall'attrice Anna Castillo, fresco Premio Goya 2017 come Miglior Attrice Esordiente, che regala anima e cuore a uno dei personaggi femminili più appassionanti dell’ultimo cinema europeo. Il film, sceneggiato da Paul Laverty, consueto collaboratore di Ken Loach, racconta la storia di Alma, una ragazza che vive e lavora nell’azienda agricola di famiglia intenta a seguire le orme segnate dal nonno. Il vecchio, però, da quando i suoi figli hanno venduto l’olivo millenario, non parla e quasi non mangia più. Alma, in pieno stile Loach, decide di andare a riprendersi l’albero, anche se ora è di proprietà e simbolo di una multinazionale tedesca. 
La Nueva Ola, sezione ufficiale del festival, presenterà quindi i migliori film spagnoli dell’ultima stagione.
Tra questi, la black comedy campione di incassi in patria, "La notte che mia madre ammazzó mio padre" di Inés París, che sarà presentato a Roma dalla stessa regista, dalla produttrice e dalla grande attrice Belén Rueda (già in “Mare Dentro” - Premio Goya Miglior Attrice rivelazione; “Con gli occhi dell'assassino” e “The Orphanage”). Esilarante intreccio che mescola Agatha Cristie e il più brillante humor spagnolo, il film si è aggiudicato il Premio del Pubblico al Festival di Malaga 2016. La trama si svolge in una notte: con i figli via di casa per una gita, Isabel si propone di organizzare la cena di lavoro che suo marito Angel e la sua ex moglie Susana hanno in agenda con un famoso attore argentino: lo vogliono convincere a essere il protagonista del loro prossimo film, un giallo scritto dallo stesso Angel. A quel punto mancherebbe solo la coprotagonista e Isabel, attrice in cerca di una parte, sente che quella è la sua occasione per convincere tutti quanti. Ma nel bel mezzo della serata fa capolino lo stralunato ex di Isabel che ha urgente bisogno di parlarle... 
Il festival, organizzato da EXIT media e diretto da Iris Martín-Peralta e Federico Sartori, riceve il sostegno della Regione Lazio e delle maggiori istituzioni spagnole: Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Spagna, AC/E, Ufficio del Turismo Spagnolo, Reale Accademia di Spagna a Roma e Instituto Cervantes.
Tutte le proiezioni del Festival del Cinema Spagnolo sono in versione originale con sottotitoli in italiano.
Prezzi 7 € intero / 5€ ridotto - Promozione: Vedi 4 film il 5 è gratis!
Di seguito il programma completo del Cinema Farnese di Roma:

#CANNES2017 - Due siciliani inaugurano la 56^ Semaine de la Critique: Fabio Grassadonia e Antonio Piazza


Il film Sicilian Ghost Story, opera seconda dei palermitani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, sostenuta dalla Sicilia Film Commission, sarà il film d’apertura della 56esima edizione della Semaine de la Critique al Festival di Cannes.
Siamo particolarmente contenti di un riconoscimento così importante, inaugurare la Semaine de la Critique è
un onore solitamente destinato a film francesi - dichiara Anthony Emanuele Barbagallo, Assessore al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana che ha cofinanziato il film attraverso la Sicilia Film Commission, nell'ambito del programma Sensi Contemporanei.  “Per la prima volta nella storia del Festival - aggiunge Alessandro Rais, direttore dell’Ufficio Speciale per il cinema e l’audiovisivo / Sicilia Film Commission - questo primato è riservato ad un film italiano e questa importante e qualificata presenza è ancor più rilevante in una edizione che vede invece l'assenza di titoli italiani nel concorso ufficiale”.
SICILIAN GHOST STORY  è il primo film interamente girato tra i laghi e le foreste del Parco regionale dei Nebrodi e nel Comune di Troina (En), nel cuore della Sicilia, un set di straordinaria bellezza naturalistica, valorizzato dalla maestria del direttore della fotografia, Luca Bigazzi.
Il Film ha ottenuto anche il primo posto nella graduatoria di finanziamento dei lungometraggi valutati dalla commissione della Regione Siciliana, a conferma della funzione di ricerca e valorizzazione dei migliori talenti siciliani svolta dall’Assessorato e dagli uffici preposti. Così come era già accaduto in passato per Salvo, il film d’esordio di Piazza e Grassadonia o per L’attesa di Piero Messina, per Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso o I fantasmi di San Berillo di Edoardo Morabito, premiati in seguito dai festival cinematografici internazionali più importanti.
Dopo aver vinto con SALVO nel 2013 il Gran Premio della Semaine e il Premio Rivelazione al 66° Festival di Cannes, i due registi Fabio Grassadonia e
Antonio Piazza sono stati invitati dal direttore Charles Tesson ad aprire la prestigiosa sezione. È la prima volta per un film italiano. Lo stesso si congratula: Antonio Piazza e Fabio Grassadonia aprono la Semaine de la Critique del Festival di Cannes con un incredibile film, incrocio di generi diversi, che combina sguardo politico, fantasia e storia d’amore, con potente maestria. 
E' la storia di Giuseppe un ragazzino di tredici anni che scompare. Luna, una compagna di classe innamorata di lui, non si rassegna alla sua misteriosa sparizione. Si ribella al silenzio e alla complicità che la circondano e pur di ritrovarlo, discende nel mondo oscuro che lo ha inghiottito e che ha in un lago una misteriosa via d’accesso.
Come diceva Leonardo Sciascia, "La Sicilia è tutta una fantastica dimensione e non ci si può star dentro senza fantasia".  La collisione fra un piano di realtà e un piano fantastico ci ha fatto riconoscere gli elementi che da tempo avevamo davanti agli occhi: un fantasma e la colpa di un mondo che sopprime bambini, raccontano i registi.  Elementi per una ghost story. Una ghost story siciliana e, in quanto tale, sul piano di realtà, favola nera. Una ghost story siciliana e, in quanto tale, sul piano fantastico, favola d’amore.
Protagonisti sono i tredicenni Julia Jedlikowska (Luna), polacca palermitana, e Gaetano Fernandez (Giuseppe) del quartiere Zisa di Palermo, entrambi per la prima volta sul grande schermo, incontrati dopo un lungo casting di nove mesi in Sicilia. Al loro esordio anche gli altri quattro ragazzi coprotagonisti Corinne Musallari, Lorenzo Curcio, Andrea Falzone, Federico Finocchiaro. Durante l’estate prima delle riprese, sotto la guida dei registi, i ragazzi hanno partecipato a un laboratorio di preparazione, articolato in più fasi, che poco per volta li ha condotti dentro la storia e nei luoghi in cui si sono svolte le riprese.
Al loro fianco gli attori Sabine Timoteo, Vincenzo Amato, Filippo Luna e Nino Prester.
Il film si avvale del contributo del MiBAC, del sostegno della Regione Siciliana – Assessorato Turismo Sport e Spettacolo – Ufficio Speciale per il Cinema e l'Audiovisivo/Sicilia FilmCommission, nell'ambito del progetto “Sensi Contemporanei”, del supporto di Eurimages e del Creative Europe Programme, è sostenuto dal Sundance Institute Feature Film Program, sviluppato con il sostegno del Fondo Bilaterale per lo Sviluppo di Coproduzioni di Opere Cinematografiche Italo-Francesi, con la partecipazione di Aide Aux Cinémas Du Monde, CNC, Institut Français.
Con la sceneggiatura di Sicilian Ghost Story Fabio Grassadonia e Antonio Piazza hanno già ricevuto il prestigioso Sundance Institute Global Filmmaking Award al Sundance Film Festival del 2016, il premio che ogni anno onora "registi emergenti dalle diverse parti del pianeta che posseggono l'originalità, il talento e la visione per essere celebrati come futuro del cinema mondiale".
La fotografia è firmata da Luca Bigazzi, il montaggio è di Cristiano Travaglioli, le musiche originali di Soap&Skin e Anton Spielmann, la scenografia di Marco Dentici, i costumi di Antonella Cannarozzi, il suono in presa diretta di Guillaume Sciamà.

sabato 22 aprile 2017

XIX° Far East film Festival - I film scelti per noi da Marina Pavido: At the Terrace

Presentato in anteprima alla XIXma edizione del Far East film Festival, At the terrace è l'ultimo lungometraggio del regista giapponese Yamauchi Jenji

Su di un'elegante terrazza di una casa signorile sta avendo luogo una festa: uomini e donne dell'alta borghesia si incontrano e tentano di intrattenere conversazioni, pur non conoscendosi tra di loro e non provando alcun interesse per ciò che gli altri invitati hanno da dire. Dopo i primi momenti di imbarazzo, però, una volta entrati nel vivo della serata, gli equilibri creatisi inizieranno a vacillare sempre di più.

Se pensiamo ai numerosi lungometraggi del genere ad impostazione teatrale girati negli ultimi anni – primo fra tutti, il molto ben riuscito Carnage di Roman Polanski, così come molti altri analoghi prodotti la cui creazione è forse stata incentivata proprio in seguito al successo di Carnage stesso – ciò che ci appare è uno sciame di pellicole tutte somiglianti tra di loro. Storie di famiglie perbene, che, però, in seguito ad un qualsiasi fattore scatenante apparentemente di poca importanza, tirano fuori tutta la rabbia ed i rancori non appena sono costretti a passare del tempo a contatto ravvicinato. Basti pensare – giusto per non andare troppo indietro nel tempo – al recente The party, diretto da Sally Potter e presentato in concorso alla Berlinale, così come all’urticante The dinner, di Oren Moverman, presente anch’esso in concorso alla medesima edizione. Il rischio di tali lungometraggi è, come prevedibile, quello, appunto di diventare ognuno la (bella o brutta) copia dell’altro, diventando, spesso e volentieri, addirittura pretenziosi – come nel caso di questo ultimi lavori della Potter e di Moverman, appunto – e limitandosi a strappare allo spettatore solo qualche sorriso qua e là. Possibile epilogo questo, ma, fortunatamente, non sempre ciò si verifica. Ed eccoci arrivati,
finalmente, a questo ultimo lungometraggio di Yamauchi Kenji. In che modo il cineasta giapponese è riuscito a “fare la differenza”? Innanzitutto, qui le dinamiche sono diverse. Non vi sono rapporti preesistenti, non vi sono antichi rancori. Quello che qui viene preso di mira è, appunto, l’abitudine a fingere, in società, di essere in un determinato modo. Salvo poi far cadere la maschera quando vengono meno i cosiddetti freni inibitori, annullati, nel nostro caso, dall’ alcool. Ed ecco, dopo i primi, esilaranti momenti in cui l’imbarazzo di dover intrattenere una conversazione con sconosciuti fa da padrone, arrivare - una volta scaldati i motori – il famoso fattore scatenante che stravolgerà gli equilibri. Nel nostro caso si tratta di un qualcosa di vecchio come il mondo: la spietata ed efferata competitività tra donne. Chi sarà la più bella della festa? La procace padrona di casa o la timida e dolce mogliettina di uno degli invitati? Al pubblico l’ardua sentenza. Fatto sta che, una volta scoppiata la lite tra le due, ne accadranno davvero di tutti i colori. Protagonisti assoluti: gli sguardi e le espressioni – in primo piano o sapientemente dislocate ai lati dello schermo - di ogni singolo personaggio, degnamente rappresentato sul grande schermo da un cast di tutto rispetto.
Decisamente interessante, dunque, questo ultimo lavoro di Yamauchi Kenji. Non facile, sia per quanto riguarda la scelta dei tempi comici giusti, sia per quanto riguarda l’ancor più arduo obiettivo di acquisire – in un mare di prodotti che tendono tutti a somigliarsi tra di loro - una propria, marcata identità. Eppure il cineasta giapponese è riuscito in entrambi gli intenti. Se non altro ha dato vita ad un lungometraggio che, nell’ambito di una partenza piuttosto tiepidina, è in qualche modo riuscito a fare la differenza in questi primi giorni di Far East Film Festival.


Marina Pavido

Io sto con la Sposa di Gabriele Del Grande


Un film commovente sulla immigrazione biblica sfuggendo dagli orrori della guerra e della povertà. Adesso il regista Gabriele del Grande si trova rinchiuso nelle galere turche senza sapere quale sia il suo capo di imputazione.Dal sito MyMovies un estratto della recencensione: Una favola di disobbedienza civile che ha abbattuto gli orchi, che confida nel prossimo e che reagisce all'Europa, alle sue forme di contenimento, controllo, detenzione e respingimento. Azione politica in immagini, Io sto con la sposa solleva e risolve con estro il dibattito sul diritto alla mobtarsi senza impedimenti, sfuggendo guerre o dittature crudeli. A incarnare l'Odissea in costume nuziale, che muove da Milano alla volta di Stoccolma, passando per Marsiglia, Bochum e Copenaghen, due sposi e un solido e solidale contorno di comprimari, che hanno il volto di chi è 'affondato', di chi è riemerso, di chi come Manar 'rappa' la propria vita e i suoi pochi anni per dirsi al mondo e per dire al mondo che non si sente più straniero e che quello che desidera si trova finalmente in questo posto, a questo punto.Ecco la locandina del film presentato alla Mostra di Venezia 2014.






giovedì 20 aprile 2017

Nelle sale italiane dal 13 aprile Mal di pietre - la recensione di Marina Pavido


Ultimo lungometraggio della regista ed attrice francese Nicole Garcia, tratto dall'omonimo romanzo di Milena Agus e presentato in concorso al Festival di Cannes 2016.
Gabrielle non è una persona semplice. Nata e cresciuta in un piccolo paesino nella Francia degli anni Cinquanta, ben poco sembra adattarsi al contesto in cui vive, alle tradizioni ed alla mentalità eccessivamente chiusa e provinciale dei suoi compaesani. È, al contrario, una donna libera, appassionata, fortemente bisognosa d’amore ed estremamente fragile. Talmente fragile da soffrire di “mal di pietre”, con tanto di dolorosi crampi addominali. Un male, il suo, del tutto psicosomatico, che soltanto curando mente e spirito potrà essere sconfitto. Per quanto riguarda la mente, però, i problemi sono ben altri, dal momento che proprio per questo suo modo di “urlare” i suoi bisogni affettivi, Gabrielle è, a detta di tutti, famigliari compresi, completamente pazza. Solo suo marito, sposato più per il desiderio di fuggire da quell’ambiente angusto ed ostile che per amore, sembra riuscire a “leggere tra le righe”, a capire quella persona così complessa e così ostinata che vive al suo fianco.
Un personaggio dalle mille sfaccettature, dunque, quello di Gabrielle. Un personaggio che viene reso magnificamente sullo schermo dalla bravissima Marion Cotillard (lei, si sa, può davvero tutto), ma a cui non viene reso giustizia dal punto di vista dello script in sé: quel che emerge della protagonista è solo la “punta dell’iceberg”. Nulla ci viene detto del suo passato, ben poco vengono approfonditi i legami con José – suo marito – ed André, il suo amante. Personaggi, anch’essi, di grande interesse e complessità (soprattutto per quanto riguarda José), ma che vengono qui sviluppati in modo eccessivamente raffazzonato e frettoloso. Il tentativo di narrare per immagini i tormenti interiori di ognuno di essi risulta, dunque, carente di una necessaria e più profonda introspezione, così come il buon Ingmar Bergman ci ha insegnato. Ma, si sa, non è affatto facile rifare Ingmar Bergman.
Ben poco, quindi, possono suggestive inquadrature di panorami mozzafiato o fedeli ricostruzioni di ambienti d’epoca. Il grande problema di Mal di pietre – oltre alla musica eccessivamente presente, smielata e quasi patetica - è proprio lo script. Uno script che, pur mantenendo di base la storia originale, ha voluto “spiccare il volo”, assumere una propria identità perdendo, però, il controllo della situazione e dando vita a qualcosa di banale ed inconsistente, malgrado le iniziali potenzialità. Uno script a cui si perdonano, tuttavia, soltanto i velati riferimenti/omaggi al cinema ed alle sue origini (vedi la cittadina di La Ciotat, dove vivono Gabrielle e José, ma anche la loro permanenza a Lione – città dei fratelli Lumière – presso l’hotel Langlois – proprio come il caro vecchio Henri Langlois!). Ma, si sa, tutto questo non è abbastanza. Ed ecco che anche Mal di pietre si andrà ben presto ad unire ai numerosi prodotti passati in sala e finiti quasi subito nel dimenticatoio. Triste, ma purtroppo molto, molto probabile.

martedì 18 aprile 2017

PINA BAUSCH A ROMA

Lunedì 10 aprile  al Teatro Argentina di Roma è stato proiettato in anteprima Pina Bausch a Roma, un film di Graziano Graziani, da un’idea di Simone Bruscia e Andrés Neumann, prodotto da Riccione Teatro in collaborazione con l’Archivio Teatrale Andrés Neumann/il Funaro Centro Culturale di Pistoia. Il periodo romano dell’indimenticabile coreografa tedesca rivive nei racconti inediti di compagni di viaggio come Matteo Garrone, Mario Martone, Vladimir Luxuria, Leonetta Bentivoglio, Cristiana Morganti e Andrés Neumann.Scomparsa nel 2009 a 68 anni, Pina Bausch - mito della danza e del teatro di fine Novecento, meravigliosa visionaria capace di stregare registi come Federico Fellini, Pedro Almodóvar e Wim Wenders - “ha terremotato con una determinazione senza confronti il panorama delle arti contemporanee” (Leonetta Bentivoglio).  Della serie di quindici spettacoli che la grande coreografa ha realizzato ispirandosi ad altrettante città del mondo, Roma è l’unica che vanta ben due titoli dedicati: Viktor (1986), e O Dido (2000), entrambi coprodotti con il Teatro di Roma.Il documentario Pina Bausch a Roma ripercorre le due residenze romane dell’artista tedesca, riportando alla luce, attraverso un intreccio di testimonianze inedite, la Roma insospettabile di Pina Bausch, una città autentica e assolutamente anticonvenzionale: una Roma quotidiana, scandita da pranzi in trattoria, incursioni in sale da ballo popolari e passeggiate al mercato della frutta; una Roma underground, distesa nelle sue periferie multietniche, conosciuta grazie a ripetute visite in campi rom e sopralluoghi notturni in locali transgender e circoli di cultura omosessuale​. A raccontarci queste esperienze originali e poco note sono amici, collaboratori di lunga data e imprevedibili compagni di viaggio. Tra loro Matteo Garrone, Mario Martone, Vladimir Luxuria, Cristiana Morganti, Leonetta Bentivoglio, Andrés Neumann, Ninni Romeo, Claudia Di Giacomo e Maurizio Millenotti.Nato per iniziativa di Simone Bruscia, direttore di Riccione Teatro, e Andrés Neumann, storico produttore della Bausch, il film prende spunto da alcune fotografie inedite che testimoniano le visite di Pina Bausch nei campi rom della capitale. Da qui l’idea di Bruscia che con Riccione Teatro - ente che promuove lo storio Premio Riccione per il Teatro - ha curato e promosso diversi progetti video-cinematografici dedicati all’opera della coreografa di Wuppertal, di realizzare un documentario sul rapporto intimo che l’artista aveva con Roma e con i luoghi meno conosciuti della città.  Firma la regia Graziano Graziani, critico teatrale, scrittore e giornalista, tra i conduttori di Fahrenheit a Radio 3 Rai e collaboratore di Rai 5 per cui ha realizzato diversi documentari sul teatro contemporaneo. Autore del blog Stati d’eccezione, scrive per varie testate e ha pubblicato diversi libri, l’ultimo dei quali per l’editrice Quodlibet, Atlante delle micronazioni (2015).Dopo la presentazione di alcuni estratti e work in progress al Riccione TTV Festival e al Biografilm Festival, il film è stato proiettato per la prima volta in versione integrale al Teatro Argentina di Roma (con sottotitoli in inglese). La serata evento di lunedì 10 aprile si è aperta con un’introduzione del regista e dei produttori e concludendosi dopo la proiezione con ‘Insoliti percorsi, e risate in cantina’ un inedito omaggio a Pina Bausch di e con Cristiana Morganti, storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal.