Descrizione

Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



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sabato 25 febbraio 2017

SPECIALE #OSCAR 2017#5: I AM NOT YOUR NEGRO di Raoul Peck, USA 2016, 133’,DOC

Dal 22 marzo al cinema un pezzo di storia afroamericana nella cinquina come Miglior Documentario 2017 e vincitore alla 67ma Berlinale – Panorama.

Il regista Raoul Peck laureato in ingegneria, si diploma successivamente all'Accademia di Film e Televisione di Berlino. Trascorre alcuni anni della sua infanzia in Congo e rimane particolarmente legato al continente africano. Dal 1980 al 1985 lavora come fotografo e giornalista, oltre che come regista di alcuni cortometraggi. Per molti anni è rimasto in esilio volontario, lontano dalla dittatura instaurata nel suo paese; rientrato ad Haiti dopo la fine del regime, dal 1995 al 1997 svolge l'incarico di Ministro della cultura. Il suo film L'homme sur les quais è il primo film caraibico della storia presentato al Festival di Cannes. Ha raggiunto notorietà internazionale con il film Lumumba presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes. L’ultimo suo lungometraggio del 2017 Le jeune Karl Marx è stato presentato alla Berlinale qualche giorno fa. Mentre sempre alla Berlinale ha presentato vincendo I am not your Negro.
Raccontato interamente con le parole di James Baldwin, attraverso il testo del suo
ultimo progetto letterario rimasto incompiuto, I AM NOT YOUR NEGRO tocca le vite e gli assasini di Malcom X, Martin Luther King Jr. e Medgar Evers per fare chiarezza su come l’immagine dei Neri in America venga oggi costruita e rafforzata.
Ricordiamo che nel corso di 5 anni Medgar Evers, morto il 12 giugno 1963, Malcolm X, morto il 21 febbraio 1965 e Martin Luther King Jr. morto il 4 aprile 1968 questi tre uomini sono stati assassinati. Uomini importanti per la storia degli Stati Uniti d’America e non solo. Questi uomini erano neri, ma non è il colore della loro pelle ad averli accomunati. Hanno combattuto in ambiti differenti e in modo diverso, ma tutti alla fine sono stati considerati pericolosi perché hanno provato a sollevare il problema razziale. James Baldwin si è innamorato di queste persone e ha voluto mostrare i collegamenti e le similitudini tra questi individui scrivendo di loro. E lo ha fatto attraverso Remember this house.James Baldwin è stato uno dei più grandi scrittori Nord-Americani della seconda metà del ‘900 e un brillante critico sociale in grado di prevedere rovinosi “trend” che oggi viviamo nel mondo occidentale e non solo, mantenendo senso di umanità, speranza e dignità. Ha saputo esplorare le complessità razziali, sessuali e le differenze di classe tanto evidenti quanto ignorate.Possedeva un’impareggiabile capacità di comprendere la storia, la politica e più di tutto la condizione umana. Ancora oggi le parole di James Baldwin colgono di sorpresa come un pugno allo stomaco. Difficile trovare qualcosa di così preciso, sottile e incisivo come gli scritti di quest’uomo. I pensieri di Baldwin sono ancora efficaci come il giorno in cui sono stati espressi per la prima volta. Le sue analisi, i suoi giudizi, i suoi verdetti, risultano più attuali di quando vennero scritti.Nel contesto odierno dell’America, la violenza e la confusione condannati da lui continuano, banalizzati e distorti dall’informazione, dai media, da Hollywood e dalla politica.Confessa il regista Raoul Peck di aver cominciato a leggere Baldwin all’età di 15 anni, quando era un ragazzo in cerca di spiegazioni razionali alle contraddizione che stava vivendo nella vita che loaveva portato da Haiti alla Francia, alla Germania e poi negli Stati Uniti d’America. Insieme a Aimée Césaire, Jacques Stéphane Alexis, Richard Wright, Gabriel Garcia Marques e Alejo Carpentier, James Baldwin è stato uno dei pochi autori che ha sentito “suo”. Uno di quelli che comunicavano in una lingua che riusciva a comprendere, in cui non si sentiva solo una “nota a margine”. Raccontava storie che descrivevano la Storia, definendo strutture e relazioni umane che combaciavano con ciò che si poteva vedere intorno. Storie che si comprendevano perché veniva da una nazione, Haiti, che aveva una grande consapevolezza di se, che aveva combattuto e sconfitto l’esercito più potente al mondo (quello di Napoleone) e che, unico esempio nella storia, ha fermato la schiavitù sul nascere, nel 1804, grazie alla prima vittoriosa rivolta degli schiavi al mondo, diventando il primo stato libero delle Americhe.Gli Haitiani hanno sempre conosciuto la vera Storia e hanno sempre saputo quanto diversa fosse da quella raccontata dal paese dominante. Il successo della Rivoluzione Haitiana è stato ignorato – come dirà Baldwin: “per via dei brutti/cattivi negri che eravamo” – perché avrebbe portato ad una versione dei fatti completamente differente, in grado di rendere insostenibile la versione proposta dal mondo schiavista di quei tempi.


Le conquiste coloniali del tardo 1800 non sarebbero state ideologicamente possibili se private della loro giustificazione “civilizzazionale”, una giustificazione inutile se il mondo avesse saputo che questi “selvaggi” Africani erano stati in grado di annientare le loro potenti armate (specialmente quelle francesi e inglesi) più di un secolo prima. Questo è esattamente il motivo per cui decise di ricorrere a James Baldwin e alla sua capacità di analizzare le storie, per riuscire a collegare la vicenda di uno schiavo liberato nella propria nazione, Haiti, alla storia moderna degli Stati Uniti e alla propria dolorosa e sanguinosa eredità, la schiavitù. James Baldwin non ha mai terminato Remember this House e l’ambizione di questo film è quello di riempire in parte 
questo vuoto.

giovedì 16 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#6– 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAYS 5/7)

Un ottimista AKI Kaurismäki ed una arguta Sally Potter infiammano la platea del Berlinale Palast, mentre Luca Guadagnino divide il pubblico con Call Me by Your Name.

(da Berlino Luigi Noera - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)
 Dopo un inizio di Festival all’insegna degli ousider nel fine settimana la platea viene conquistata dal finlandese Aki Kaurismäki e il suo attualissimo Toivon tuolla puolen (The Other Side of Hope). I mali del mondo d’oggi raccontati con una tale leggerezza e visti dalla parte sana dell’umanità. Il regista riesce a tirare fuori il meglio dallo spettatore che esce rinvigorito dalla sala. In stile musicale old country e ambientato in un imprecisato tempo nella Finlandia scorrono le vite di due uomini che alla fine si incontreranno e condivideranno le proprie aspirazioni. Non c’erano dubbi sulla riuscita della piece teatrale messa in scena da
Sally Potter in The Party con un cast eccezionale tra i quali il poliedrico Timothy Spall. In platea è stata una risata continua per l’humor made in England con una durata del film ridotta all’essenziale.   E’ riuscita pure l’idea del giapponese Sabu di mischiare elementi di gang story con la semplicità dell’umanità nel film Mr. Long in una coproduzione fra gli emergenti dell’Asia
(Giappone / Hong Kong, China / Taiwan / Germania). Di spessore sociale Una mujer fantástica (A Fantastic Woman) del cileno Sebastián Lelio (Cile / USA / Germania / Spagna) che però si arena in una interpretazione non proprio all’altezza della (del ?) protagonista. Non convince invece l’unico documentario in concorso sull’artista autore di controverse installazioni Beuys del tedesco Andres Veiel che si “dimentica” clamorosamente il passato non proprio limpido di Beyus. Si rimane interdetti poi dal film della portoghese Teresa Villaverde che con il suo Colo cerca disperatamente di convicere lo spettatore che alla base della distruzione della famiglia ci siano i venti di crisi economica che durano da troppo tempo. Il suo punto di vista non si può condividere perchè significherebbe sdoganare più in generale la mancanza di responsabilità degli adulti verso gli adolescenti. Se poi aggiungiamo lo stile noioso utilizzato dalla regista che mette a dura prova la pazienza dello spettatore. Infine si pone all’ultimo posto il racconto di appendice Return to Montauk di Volker Schlöndorff  (una delle tante otto tra produzioni e coproduzioni presenti in concorso) e ci domandiamo come abbia potuto trovare posto in competizione. Al riguardo la varietà di generi di quest’anno fa pensare che in fondo abbia ragione il patron della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda a proporre una selezione unica.  Che anche Dieter Kosslick si avvii su questa strada?
Invece Fuori Concorso due perle dal vecchio continente: il primo El bar (The Bar)di Álex
de la Iglesia (Spagna) fulminante trash e sanguinolento, come nella migliore tradizione latinoamericana iberica ma che attinge a piene mani dal più noto film coreano Treno per Busan. Il secondo Sage femme (Midwife) del francese Martin Provost. Un film ben confezionato nello stile collaudato francese che da una storia al femminile prende spunti di riflessione universali. Ritroviamo Caterine Denevue sulla via del tramonto. 
Berlinale Special  ha proposto tre mondi diversi. Dall’Irlanda con un cast eccezionale, tra i quali Ethan Hawke, una storia d’amore realmente accaduta sulle diversità. La protagonista Sally Hawinks merita un premio per la straordinaria interpretazione di Maudie. Il film di Aisling Walsh è una coproduzione Canada / Irlanda.
Dall’avanposto cubano dell’America Latina Fernando Pérez presenta Últimos días en La Habana(Last Days in Havana). Definito dallo stesso regista un film dall’anima profondamente cubana, si ritrovano tante analogie con il neorealismo italiano sugli ultimi. Chissà se mai passerà in ssale italiane? Il terzo The Lost City of Z dell’americano James Gray è invece l’omaggio ad un esploratore irlandese che contribuì alla scoperta dell’Amrica Latina.
Per quanto riguarda la sezione Panorama è stato il momento dell’Italia con Luca Guadagnino unico italiano selezionato con Call Me by Your Name, che ha diviso la platea. Questo è un indizio positivo anche se si tratta di un’opera di nicchia che troverà scarsa fiducia nella distribuzione italiana. Ma Guadagnino è abituato ad essere apprezzato all’estero.  Abbiamo notato che alla Berlinale 2017 tanti film sulla città che ospita il festival, l’ennesimo è Berlin Syndrome di  Cate Shortland.Film che vorrebbe essere un thriller ma non riesce astimolare lo speattore. Mentre per  Panorama Dokumente il film portabandiera di uno dei focus 2017: I Am Not Your Negro di Raoul Peck . Altro film su Berlino è Mein wunderbares West-Berlin (My Wonderful West Berlin) di Jochen Hick che racconta la storia della comunità gay di Berlino dal dopoguerra ad oggi dalla voce di illustri artisti gay. Dal Brasile la storia di come ha vissuto il paese sud americano la rivoluzione del 1968 nel
racconto con film amatoriali utilizzati per realizzare No Intenso Agora (In the Intense Now) di  João Moreira Salles. Sono pochi i film che ricordano la rivoluzione sessantottina che attraversò l’Europa durante la Guerra Fredda. Per finire dalla sezione Forum Joshua Z Weinstein ci racconta con Menashe le contraddizioni della comunità ebraica ortodossa di Brooklyn alle prese con la modernità.
E’ proseguito intanto l’interessante e proficuo programma dei Talents all’insegna del motto: Courage against all Odds, proponendo altre due master class di eccezione con l’attore Timothy
Spall e la regista Agnieszka Holland, il primo protagonista della piece teatrale di Sally Potter e la seconda autrice di un discutibile Pokot (Spoor) di cui vi abbiamo già riferito.
Al giro di boa della Berlinale restano quattro film in concorso dei quali l’animazione di LIU JON ed il manifesto morale del coreano Hong Songsao con il suo On the Beach at Nigth Alone i quali potrebbero cambiare i pronostici più accreditati che fino ad ieri stroncano la Potter con The Dinner e premiano il cileno Sebastiano Leo (dati aggiornati al sesto giorno prima che venisse presentato il film di AKI Kaurismäki).