Descrizione

Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



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sabato 4 marzo 2017

I MIGLIORI FILM della 67ma BERLINALE – 9/19 FEBBRAIO 2017

(Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)
Come sempre nel nostro resoconto della edizione 2017 della Berlinale, Festival che insieme a Cannes, Locarno e Venezia rappresenta la produzione mondiale cinematografica e le nuove tendenze, ci limitiamo alle opere della sezione principale e di quella rappresentativa Panorama dove la sezione documentaristica è corposa. Le opere sono presentate in ordine di gradimento.
Nella selezione ufficiale in Concorso poniamo al primo posto Toivon tuolla

puolen(The Other Side of Hope) di Aki Kaurismäki (Finlandia / Germania) - Anche se non ha vinto l’Orso d’oro è questo il film che ci ha emozionato di più per la empatia tra due personaggi apparentemente fra loro in cotraddizione, che in realtà hanno la medesima aspirazione: una vita migliore. Il venditore porta a porta mette in gioco la sua vita e molla tutto e ricomincia con la ristorazione. Il rifugiato siriano sa quali sono i passi da compiere per ottenere lo status di rifugiato. E’ ovvio, e qui la sceneggiatura ha qualche pecca, che i due si incontrino. Ma da questo incontro nasce una straordinaria solidarietà. Insomma un phamplet politico del regista finlandese che con ironia descrive i nostri tempi dove il lavoro è precario,
ma anche la vita è precaria. Segue il film multipremiato Teströl és lélekröl(On Body and Soul) di Ildikó Enyedi (Ungheria) - I giurati lo hanno preferito, forse per il linguaggio inusuale di parlare di emozioni, di sogni, dell’umanità. Una umanità abituata però ad essere indifferente alle sofferenze degli altri esseri, in questo caso animali portati al macello. La sceneggiatura ondeggia fra uno spirito animalista con scuarci trash di bestie al macello e momenti con colpi di scena di esseri umani con le loro pulsioni sentimentali. Al terzo posto un gioiellino: Mr. Long di Sabu (Giappone / Hong Kong, China / Taiwan / Germania) - Una favola di redenzione che parte da una gang story per approdare nell’onirica fantasia di un nuovo uomo. Quasi Felliniana la composita e fantasiosa compagine di personaggi che aiutano il protagonista a ritrovare se stesso. Un film che non da tregua e passa da uno stile all’altro con una talentuosa naturalezza. Peccato che non sia stato apprezzato e non abbia ricevuto premi, vedremo quando uscirà in sala. The Party di Sally Potter (UK) -
La regista sapientemente utilizza gli splendidi attori in questa piece teatrale ed anche se conquista il pubblico, non trova alleati fra i giurati. Una mujer fantástica (A Fantastic Woman)di Sebastián Lelio (Cile / USA / Germania / Spagna) - Sullo sfondo di un thriller si dipanano i diritti umani Il tema sociale è apprezzabile e la storia è ben costruita, peccato che la protagonista sia ingabbiata in un cliché e non riesca ad esprimere al meglio le sue potenzialità.
Passiamo alle pellicole Fuori Concorso delle quali abbiamo apprezzato le qualità anche spettacolari. AL primo posto El
bar (The Bar)
di Álex de la Iglesia (Spagna) - Solo gli spagnoli potevano inventarsi una tragicommedia come questa che però prende spunto da pellicole ben più spettacolari come per esempio Un treno per Busan. Una pandemia invade una cittadina spagnola e gli avventori di un bar restano prigionieri della fatalità. C’è poi l’eroina che alla fine in entrambi i film sarà l’unica ad uscire viva da un incubo che ha il sapore del lieto fine e per questo distrugge il lavoro intessuto per 120 minuti di film. Al secondo posto Final Portrait di Stanley Tucci (UK /
Francia) - Un delizioso ritratto, e scusate il bisticcio di parole, dello scultore e pittore di origine italiane, che viene raccontato da un giornalista improvvisatosi modello per il maestro. Il protagonista, il premio Oscar Geoffrey Rush, egregiamente descrive il talento ma anche le caratteristiche di un genio della scultura e pittura dimenticato come Alberto Giacometti, grazie anche all’occhio della cinepresa che si immedesima nel suo sguardo attento a cogliere quello che i comuni mortali non riescono a carpire da un dettaglio. T2 Trainspotting di Danny Boyle (UK) - Doveva essere l’evento, ma a noi ci ha deluso. Certo i paragoni sono letali, ma i 20 anni  in più dei protagonisti si vedono tutti e se il regista voleva riportare in auge un film dirompente di quegli anni non c’è riuscito. Sono passati troppi anni e i personaggi non stanno al passo dei tempi. Peccato. Sage femme (Midwife) di Martin Provost (Francia / Belgio) - Un film piccolo dove la brava Catherine Frot tiene testa ad una Catherine Denuve che si avvia sulla via del tramonto. Storia intima di incomprensioni fra due donne, l’una figlia, l’altra matrigna e moglie di un uomo che aleggia con la sua controversa natura su tutto il film senza che mai appaia. Il finale è scontato, ma è apprezzabile la fattura da Nouvelle vague con sapienza utilizzata dalla regia. Logan di James Mangold (USA) - Ci risiamo con il sequel del più famoso film originale della serie XMan. Tra inseguimenti e lotte senza quartiere si snoda un film brutto che però avrà successo al botteghino per i suoi esileranti personaggi.
I film più interessanti sono stati quelli della sezione Berlinale Special soprattutto i
documentari presentati per il loro coraggio di denuncia. La nostra classifica vede al primo posto The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov
di Askold Kurov (Estonia / Polonia / Repubblica Ceca) – doc - Uno sconvolgente squarcio sulla annessione della Crimea alla Russia di Putin che riconosce nel regista ucraino Oleg Sentsov un potenziale nemico da azzittire con qualsiasi mezzo. Oleg sta scontando una pena detentiva di venti anni nei Gulag della Siberia che esistono ancora sebbene l’USSR non esista più. Segue Maudie di Aisling Walsh (Canada / Irlanda) – Da una storia autentica della giovane Maud, affetta da una grave malattia invalidante, la protagonista l’attrice inglese Sally Hawkins, nominata agli Oscar, ci consegna un gioiellino di film. Ma anche grazie a Ethan Awke nei panni del suo futuro marito burbero, e tenero. Il resto lo fanno i landscape della costa canadese atlantica dove si stagliano le silhouette dei protagonisti. Al terzo posto La
libertad del diablo(Devil's Freedom)
di Everardo González (Messico) – Doc – Il regista affronta senza tanti giri di parole il tema scottante dei numeri di omicidi nella guerra strisciante dei cartelli della droga al confine tra Messico e USA a Ciudad Juarez nello stato di Chihuahua. Tema già affrontato da Gianfranco Rosi nel suo Doc El Sicario Room 164, che questa volta viene ampliato dal racconto anche delle vittime. Le loro emozioni e sentimenti sono macigni  per la nostra coscienza. Il metodo di ripresa è identico con il viso dei protagonisti di tanta barbarie nascosti dietro una maschera e soltanto al termine scopriremo il volto delle vittime. Il regista parla del lato oscuro di ognuno di noi che poi è appunto il titolo del documentario. Si esce dalla sala con un groppo alla gola. Tra i doc una menzione va alla edizione restaurata di Acht Stunden sind kein Tag (Eight Hours Don't Make A Day) di Rainer Werner Fassbinder (Federal Republic of Germany 1972) – TV series in 5 episodi. Il regista ci riporta in un mondo sereno ed un po’ naïf, di fatto, quello che manca – ripensando, appunto, a gran parte della produzione di Fassbinder – è proprio quel pessimismo di fondo, quella sorta di male di vivere che porterà il cineasta di lì a pochi anni a togliersi la vita. Ed è proprio il tono della serie TV ad aver sollevato a suo tempo – nel 1972 – non poche critiche, soprattutto per quanto riguarda la sottotrama sui movimenti operai, considerati, all’epoca, come rappresentati in modo quasi irreale ed un po’ troppo semplicistico. Al punto di spingere Fassbinder stesso a fermarsi appunto al quinto episodio. Certo, a pensare che inizialmente ci fosse stata l’idea di girare più di cinque episodi, un po’ di rabbia viene eccome. Se non altro per il fatto che non ci si stancherebbe mai di questa sorta di favola fuori dal mondo. Ed infine sempre dalla Germania In Zeiten
des abnehmenden Lichts (In Times of Fading Light)
di Matti Geschonneck con Bruno Ganz – L’attore interpreta con saggezza il declino della Guerra Fredda e delle ideologie contrapposte. Siamo nel 1989 e il protagonista Wilhem Powileit per tanti anni al servizio della SED – il servizio di polizia della DDR - compie 90 anni. Come ogni anno viene festeggiato dagli ex colleghi. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Con comicità teutonica assistiamo al crollo di un mito, al crollo di una ideologia appunto.
Della sezione a latere Panorama vi proponiamo tra quelli visti la cinquina di film che
meritano attenzione
. Cominciamo con il film di apertura The Wound del sudafricano John Trengove – La denuncia di riti tribali di iniziazione alla età adulta nelle zone montuose dell’Est del Sud Africa. Il protagonista Xolani da tempo lavora in una fabbrica, ma quando gli viene chiesto di ritornare nel villaggio si ritrova a fare i conti con una realtà da dove era fuggito. Anche il regista turco Ceylan Özgün Özçelik con Kaygı (Inflame) denuncia il clima autoritario che si respira in Turchia, prendendo spunto dai sentimenti di onestà intellettuale che infiammano una giovane redattrice di una TV che si scontra con la manipolazione giornaliera delle notizie fino a sconfinare in paranoia.
Il terzo film riprende il filone del devastante periodo dello schiavismo dei negrieri portoghesi che deportavano dal continente africano in America latina  in nativi in una epocale immigrazione forzata. Daniela Thomas nella sua pellicola Vazante ci propone  la storia di una famiglia portoghese di agricoltori  e dei loro sciavi insediatisi in Brasile. L’autrice attraverso il racconto intimo dei vari personaggi mette in luce una parte di storia mondiale dimenticata. Girato in bianco e nero ci riporta indietro nel tempo ma con le stesse problematiche attuali: la sopraffazione dell’uomo sull’uomo Altro film storico, anch’esso in bianco e nero è 1945 dell’ungherese Ferenc Török. In una cittadina al termine della seconda guerra mondiale l’arrivo di due ebrei sopravvissuti all’olocausto mette in moto una serie di reazioni tragiche negli abitanti. Sono i sensi di colpa a riemergere prepotentemente. Infine in lingua mandarino Ciao Ciao di  Song Chuan. Belli i paesaggi da mozzafiato delle campagne cinesi dove si consuma l’ennesimo scontro tra società rurale e la nuova società metropolitana di una Cina con crescita a due cifre. Nella sezione di Panorama
Dokumente, il primo posto va al I Am Not Your Negro
di Raoul Peck che oltre ottenere la nomination ai recenti Oscar ed ha vinto alla Berlinale. Raccontato interamente con le parole di James Baldwin, attraverso il testo del suo ultimo progetto letterario rimasto incompiuto, il film tocca le vite e gli assassini di Malcom X, Martin Luther King Jr. e Medgar Evers per fare chiarezza su come l’immagine dei Neri in America venga oggi costruita e rafforzata. James Baldwin non ha mai terminato Remember this House e l’ambizione del film è quello di riempire in parte questo vuoto. Segue un doc brasiliano realizzato sia con spezzoni amatoriali che d’epoca. Intenso Agora (In the Intense Now) diJo ão Moreira Salles ambientato nel mitico ’68 visto da varie angolazioni e luoghi simbolo: la Rivoluzione Cinese di Mao, la Primavera di Praga soffocata dall’invasione degli eserciti dei Paesi del Patto di Varsavia, il maggio sessantottino degli studenti parigini, ma anche il colpo di stato in Brasile. Il tutto intrecciato da film amatoriali della madre del regista. Il terzo doc che merita una menzione è la vita della cantante messicana apertamente di orientamento omosessuale. Parliamo di Chavela dalla regia di Catherine Gund e Daresha Kyi. La vita di questa cantante che dopo un primo periodo d’oro in patria ritorna allo splendore dei palcoscenici in Spagna ed Europa grazie al pungolo di un grande regista allora giovanissimodi fama mondiale Pedro Almodóvar. Ci ha stupiti Erase and Forget di Andrea Luka Zimmerman che ci illumina sul fenomeno americano dei veterani delle guerre che hanno molto seguito e sono come una forza armata parallela. Grazie al racconto di uno di loro Bo Gritz una sorta di Rambo reale. Infine Belinda di Marie Dumora, film d’apertura,ci consegna la storia intima di due sorelle con alle spalle una famiglia d’origine difficile che nonostante tutto riescono a trovare una loro strada. Un film che da speranza ai tanti bambini, adolescenti che poi diventano adulti tra mille difficoltà. Per quanto riguarda la selezione Forum, ne abbiamo visti solo due: Barrage di Laura Schroeder e El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki il quale per inciso ha ottenuto la menzione speciale della Giuria Ecumenica. Il primo è un film al femminile, l’altro film documentario sperimentale e per questo ostico dove si alternano paesaggi inusuali della Terra con brevi poesie.
Quello che è stato il centro di questa edizione sono però i Talents con il motto
CORAGGIO CONTRO OGNI ODIO. Il tema sviluppato con due Master Class seguitissime una con il Presidente della Giuria Internazionale regista e sceneggiatore Paul Verhoeven e l’attrice americana Maggie Gyllenhaal e la seconda con l’artista Christo
che ha raccontato la nascita, lo sviluppo e creazione delle sue installazioni coadiuvato da team di architetti ed ingegneri. Ha sottolineato che per lui non ci sono preferenze per una piuttosto che un’altra come non ci sono preferenze di un genitore verso i figli. Inoltre il premio alla migliore opera prima è andato a un veterana dei Talents. Carla Simón si è vista premiare dalla Giuria composta da Jayro Bustamante, Clotilde Courau e Mahmoud Sabbagh con il PREMIO GWFF migliore opera
prima per Estiu 1993 presentato nella selezione Generation KPLUS.


lunedì 20 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#8 – 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAYS 8/10)

Alle battute finali gli ultimi film in competizione non riescono a superare i fuoriclasse: On Body and Soul di Ildikó Enyedi e The Other Side of Hope di AKI Kaurismaki stravincono.



(da Berlino Luigi Noera - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)


Si è conclusa sabato la 67ma Berlinale con l’incoronazione del film pluripremiato On Body and Soul di Ildikó Enyedi

Infatti gli ultimi quattro film in concorso non hanno aggiunto nulla a questa edizione della Berlinale che verrà ricordata per aver attinto ai più disparati generi del cinema con il comune denominatore di storie intime rivolte a temi universali in un mescolarsi delle emozioni. Infatti di questi ultimi solo due tra i quali il coreano Hong Sangsoo con Bamui haebyun-eoseo honja (On the Beach at Night Alone) è stato premiato per la migliore interpretazione femminile. Il film attraversa il deserto dell’anima della protagonista Younghee alla ricerca di se stessa, e ci mostra cosa sia l’amore nella società moderna asiatica. E’ difficile però per un occidentale comprendere questi stati d’animo in un linguaggio cinematografico asciutto dove i dialoghi sovrastano il resto. Come pure il rumeno Călin Peter Netzer con Ana, mon amour, che mette a nudo le paure causate dalle esperienze negative della protagonista, affronta i temi sociali della attuale Romania. Il film ha ricevuto l’Orso d'argento per il miglior contributo artistico a Dana Bunescu (editor). Al riguardo c’erano altre pellicole che avrebbero meritato il premio. Invece è incomprensibile sia il brasiliano Joaquim di Marcelo Gomes. Opera cinematografica ridotta all’essenziale sulla questione delle brutalità perpetrate dai conquistatori portoghesi ai danni degli schiavi africani e delle popolazioni indigene. Ma anche poco comprensibile, a terminare la carrellata dei generi in questa edizione 2017, dalla Cina il regista Liu Jian che ha presentato Hao ji le(Have a Nice Day) un animazione dal sapore di gang story. Anche in questo caso una narrazione asciutta dove a fronte di un serrato dialogo la traduzione nei sottotitoli con lunghi giri di parole non permette di apprezzare appieno il racconto.
Dobbiamo ammettere che nel panorama dei film in competizione il lavoro della GIURIA INTERNAZIONALE presieduta da Paul Verhoeven e composta da Dora Bouchoucha Fourati, Olafur Eliasson, Maggie Gyllenhaal, Julia Jentsch, Diego Luna e Wang Quan'an è stato da un lato faticoso e dall’altro facilitato dalla presenza di due autori che hanno surclassato glia altri. Cosicché come ci si aspettava l’Orso
d'Oro per il miglior film (consegnato al produttore del film) è andato a Testről és lélekről (On Body and Soul) il quale è stato premiato anche dalla GIURIA ECUMENICA e dalla GIURIA FIPRESCI, presieduta quest'ultima da Alin Öjeni Tasçiyan e composta da Dubravka Lakić, Denise Bucher, ed ha inoltre ottenuto il gradimento dei lettori del
BERLINER MORGENPOST, mettendo così d’accordo pubblico e giurati.


L’Orso d'Argento Gran Premio della Giuria è andato inspiegabilmente a
Félicité di Alain Gomis, piuttosto che a The Party di Sally Potter che invece ha convinto la Giuria GUILD FILM AWARD composta da Adrian Kutter, Sybille Mollzahn, Edgar. Altro film che poteva ottenere consenso per l’Orso d'Argento Gran Premio della Giuria è Toivon tuolla puolen (The Other Side of Hope) di Aki
Kaurismäki al quale è andato comunque l’Orso d'Argento per la migliore regia. Infine l’Orso d'Argento Alfred Bauer al film che apre nuove prospettive cinematografiche è andato a Pokot di
Agnieszka Holland. Per quanto ci riguarda andava assegnato a Mr Long del taiwanese Sabu che invece è rimasto escluso. Invece l’Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura è andato a Sebastián Lelio e Gonzalo Maza per Una mujer Fantástica (A Fantastic Woman)  sempre di Sebastián Lelio a cui
è andato anche la Menzione speciale della GIURIA ECUMENICA composta da Dr. theologiae. Charles Martig (Presidente della Giuria), Annette Gjerde Hansen, Rev. Dr. theol.
Hermann Kocher, Dr. phil. Markus Leniger, Prof. S. Brent Rodriguez-Plate, Zsuzsanna Bányai.
L’Orso d'argento al miglior attore è andato a Georg Friedrich in Helle Nächte (Bright Nights) di Thomas Arslan.La Giuria composta da Jayro Bustamante, Clotilde Courau e Mahmoud Sabbagh hanno assegnato il PREMIO GWFF migliore opera prima a estiu 1993 di Carla Simón presentato alla selezione Generation KPLUS. Mentre Daniela Michel, Laura Poitras e Samir hanno assegnato il PREMIO DOCUMENTARIO Glashütte Original a Istiyad Ashbah (Ghost Hunting) di Raed Andoni.

Il PREMIO DEL PUBBLICO PANORAMA tra i film di genere è andato a Insyriated di Philippe Van Leeuw premiato pure dalla Giuria del LABEL EUROPA CINEMAS composta da  Alice Black, Pierre-Alexandre Moreau, Monica Naldi, Feliks Wagner. Mentre tra i documentari quello di Raoul Peck sulla questione razziale in America (I Am Not Your Negro) ha ottenuto i maggiori consensi del pubblico della Berlinale e la menzione speciale della Giuria Ecumenica, la quale ha premiato per la sezione FORUM Maman Colonelle (Mama Colonel) di Dieudo Hamadi preferito anche dai lettori del TAGESSPIEGEL. Una Menzione speciale della Giuria Ecunemica è andata inoltre a El mar la mar di Joshua Bonnetta and J.P. Sniadecki, film sperimentale.
A questo punto, come sempre vi proponiamo una classifica dei primi cinque film in competizione e nelle altre sezioni che ci hanno emozionato e dei quali vi parleremo prossimamente.
Concorso
Toivon tuolla puolen(The Other Side of Hope) di Aki Kaurismäki (Finlandia / Germania)
Teströl és lélekröl(On Body and Soul) di Ildikó Enyedi (Ungheria)
Mr. Long di Sabu (Giappone / Hong Kong, China / Taiwan / Germania)
The Party di Sally Potter (UK)
Una mujer fantástica (A Fantastic Woman)di Sebastián Lelio (Cile / USA / Germania / Spagna)
Fuori Concorso
El bar (The Bar)di Álex de la Iglesia (Spagna)
Final Portrait di Stanley Tucci (UK / Francia)
T2 Trainspotting di Danny Boyle (UK)
Sage femme (Midwife) di Martin Provost (Francia / Belgio)
Logan di James Mangold (USA)
Berlinale Special
The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov di Askold Kurov (Estonia / Poland / Czech Republic) - doc
Maudie di Aisling Walsh (Canada / Ireland)
La libertad del diablo(Devil's Freedom) di Everardo González (Mexico) - Doc
Acht Stunden sind kein Tag (Eight Hours Don't Make A Day) di Rainer Werner Fassbinder (Federal Republic of Germany 1972) – TV series with 5 episodes
In Zeiten des abnehmenden Lichts (In Times of Fading Light) di Matti Geschonneck (Germania)
Panorama
The Wound di  John Trengove
Kaygı (Inflame) di  Ceylan Özgün Özçelik
Vazante di  Daniela Thomas
1945 di  Ferenc Török
Ciao Ciao di  Song Chuan






Panorama Dokumente


No Intenso Agora (In the Intense Now) di João Moreira Salles

I Am Not Your Negro von Raoul Peck
Chavela von Catherine Gund, Daresha Kyi
Erase and Forget von Andrea Luka Zimmerman
Belinda von Marie Dumora


Per quanto riguarda la selezione Forum, ne abbiamo visti solo due : Barrage di Laura Schroeder e El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki il quale ha ottenuto la menzione speciale della Giuria Ecumenica. 

lunedì 13 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#5 – 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAYS 2/4)

Dopo l’inaugurazione musicale con DJANGO le sorprese nel fine settimana vengono dall’Est Europeo e dall’America Latina e la deliziosa interpretazione di Geoffrey Rush.

(da Berlino Luigi Noera con la collaborazione di Marina Pavido - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale) Questo fine settimana ha visto passare tanti film attesi tutti con il denominatore comune di raccontare storie personali che in realtà volgono lo sguardo alla nostra umanità in bilico perenne senza certezze, soprattutto in questo periodo di globalizzazione anche dei rapporti umani. Ma andiamo con ordine. Abbiamo molto amato  Final Portrait di Stanley Tucci sia per l’interpretazione
di Geoffrey Rush ei panni di un artista italiano Giacometti con le sue debolezze, ma anche con il suo talento. Rush è entrato nel personaggio aiutato anche dalla potenza delle riprese che inpersonano il suo occhio attento di artista. Quelli che potevano essere gli outsider dei film in Concorso non hanno emozionato, piuttosto è stata una scoperta l’ungherese Ildikó Enyedi con il suo particolarissimo film Teströl és lélekröl(On Body and Soul). Pellicola sui
rapporti umani trasferiti in maniera onirica agli animali di cui l’uomo si ciba, con qualche spunto di thriller. Viene in mente che il sole è uguale per tutti gli esseri viventi. Nonostante lo sforzo registico le emozioni però non sono così intense. Altro film sui rapporti amorosi è stato proposto dal cileno Sebastián Lelio con Una mujer fantástica (A Fantastic Woman), dove sullo sfondo di un thriller si dipanano i diritti umani. Invece l’attesa opera della regista polacca Agnieszka Holland in una cooperazione internazionale (Polonia / Germania / Czech Republic / Sweden / Slovakian Republic) con Pokot (Spoor) non convince. Eppure i mezzi linguistici messi a disposizione dalla cineasta sono tanti che confondono lo spettatore e costringono lo script ha spiegare il finale banale. La storia si perde tra elementi animalisti e anticlericali con un improbabile lieto fine da delitto perfetto. Il ritmo è sostenuto dai mille particolari messi in campo in maniera ossessiva come lo è l’anziana protagonista del thriller fantasy. Il primo film americano Oren Moverman è The Dinner. Storia di fratelli vista mille volte. Il primo è uno sfigato non sempre ligio ai principi morali, l’altro è un disinvolto uomo di successo in carriera (questa volta politica) con un Richard Gere decisamente in declino. A questo aggiungiamo la storia parallella dei figli abbandonati a se stessi ed il gioco è fatto. Ci chiediamo come mai sia stato selezionato in competizione. In questo fine settimana pure due Opere Prime.
L’austriaco Josef Hader ci diverte con il suo Wilde Maus(Wild Mouse) offrendo un panorama dell’animo umano in situazioni di stress come può essere la perdita del lavoro. Soprattutto se si tratta di un lavoro dove la fortuna artistica degli altri è nelle tue mani. Si stiamo parlando di critica in questo caso musicale. Eppure alla fine rimane poco del film se non un amaro in bocca. Dobbiamo dire che nel panorama dei registi mitteleuropei il giovane esce fuori dai ranghi facendo fare prodezze agli attori in uno stentato italiano. Che sia un imitatore ddel nostro Checco Zalone? L’altra opera prima è del francese Alain Gomis che con una produzione multietnica (Francia / Senegal / Belgio / Germania / Lebanon) ci presenta una madre congolese Félicité alla prese con la salvezza del giovane figlio. Abbiamo sperato senza risultato che il film prendesse una sua strada, invece ci siamo dovuti accontentare delle belle musiche etniche africane affidate alla voce calda e disperata della protagonista.
Per ultimo lasciamo la parola a Marina Pavido che ci parla del film di apertura Django del francese  Etienne Comar alla sua Opera Prima
(recensione). Fuori Concorso un opera anglosassone: T2 Trainspotting sequel di Danny Boyle. Il cast è notevole però oltre alla nostalgia per i tempi che furono la pellicola sconta il paragone con l’originale che ventanni fa rivoluzionò il modo di fare cinema.
Sempre  interessante la sezione Berlinale Special che nel fine settimana ha proposto tdue documentary notevoli e due film storici. Partiamo con quello che si può definire un pugno

nello stomaco del messicano Everardo González che con La libertad del diablo (Devil's Freedom) affronta un tema tuttora irrisolto nel suo paese: I morti per il traffico di droga dei cartelli delle mafie locali. Icordiamo che il nostro regista Gianfranco Rosi è emerso proprio con questo tema qualche anno fa. La novità dell’autore messicano è che nella intervista di più di un ora sono coinvolti sia I carnefici che le vittime tutti con il viso coperto. Le loro emozioni e sentimenti sono macigni  per la nostra coscienza. Ci piace il titolo che parla del Diavolo in continua lotta nell’animo umano. L’altro documentario porta alla ribalta il tema dei diritti umani nella Russia di Putin con The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov deell’estone  Askold Kurov in una coprudozione Estonia / Polonia e Repubblica Ceca. E’ indubbio che questi ultimi due paesi si sentono in pericolo con la Russia di Putin per certi versi simile all’Unione Sovietica nella spartizione dopo la seconda Guerra Mondiale dell’Europa. La Crimea oggetto del doc ne è una riprova. Le alter due produzioni europee portano sul grande schermo due temi storici. Da una parte
Le jeune Karl Marx (The Young Karl Marx) di Raoul Peck (Francia / Germania / Belgium) e il nascere del comunismo e dall’altro le macerie del nazismo nel dopoguerra. Es war einmal in Deutschland... (Bye Bye Germany) di Sam Garbarski (Germania / Luxembourg / Belgium) sono le macerie da cui scappano gli ebrei sopravvissuti alla shoa. Passiamo alla sezioni dove trovano posto i film che per varie ragioni non sono in concorso. Per Panorama il film

inaugurale The Wound di  John Trengove che parla di riti tribali ed iniziazione all’età adulta dei giovani africani in un mondo moderno con tutte le contraddizioni che comporta. Il film storico sui colonizzatori brasiliani attraverso la saga di una famiglia di farmers: Vazante di  Daniela Thomas. Girato in bianco e nero ci riporta indietro nel tempo ma con le stesse problematiche attuali: la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Infine dalla Cina un film piccolo su una giovane: Ciao Ciao di Song Chuan. Il tema è noto: l’attrazione verso il progresso nelle grandi città nei confronti della vita semplice di campagna in una storia d’amore e di sesso. Per la sezione Panorama Dokumente vi proponiamo il film d’apertura Belinda di Marie Dumora. Un film intimo di due sorelle con alle spalle una famiglia d’origine difficile che nonostante tutto riescono a trovare una loro strada. Un film che da speranza ai tanti bambini, adolescenti che poi diventano adulti tra mille difficoltà.  Gli altri tre affrontano temi molto vari ma anche inediti. Ci ha colpito il doc di Andrea Luka Zimmerman che con Erase and Forget propone la vita di un veterano americano della guerra coreana fautore delle cosiddette „Forze Speciali“ in America. Una sorta di forze paramiltari che imbarazzano. Diversa la storia raccontata da Catherine Gund e Daresha Kyi in Chavela, biografia della cantante messicana che per prima fece outcoming (siamo negli anni ‘50/’60) e che tanto successo ebbe anche in Europa lanciata dal regista Spagnolo Almadovar. Per restare nel tema infine il volto omosessuale della Berlino degli anni ’70 e ’80 raccontata da celebri artisti di moda: Mein wunderbares West-Berlin (My Wonderful West Berlin) di Jochen Hick.  Terminiamo questa carrellata con tre film presentati nella sezione Forum. Il primo è un film al femminile: Barrage di Laura Schroeder con Isabel Hupert. Segue il film sperimentale documentario e per questo ostico El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki dove si alternano paesaggi inusuali della Terra con brevi poesie. Vi ricordiamo anche Tigmi n Igren (House in the Fields) di Tala Hadi che ha emozionato Marina Pavido. Con una troupe ridotta quasi all’osso, la regista ha seguito la vita di due sorelle, Fatima e
Khadija, scandita attraverso le stagioni in un piccolo villaggio pedemontano dell’Alto Atlante, le quali, da sempre legatissime, si trovano a dover affrontare – vivendo una vita tra il passato e il presente, tra tradizione e cambiamento – il non facile passaggio dall’infanzia all’età adulta in un tripudio di colori con canti e musiche invadono lo schermo. L’imminente matrimonio di Fatima sarà l’evento che segnerà definitivamente la vita delle due ragazzine. Dato l’approccio della regista, salvo qualche breve intervista, si è limitata a filmare la realtà così com’è   tranne alcuni che risultano staccarsi dal resto del documentario, in quanto risultanti eccessivamente costruiti. È però lo sguardo attento e affettuoso della regista a far sì che House in the field sia un piccolo gioiello di una cinematografia che difficilmente verrà distribuito in Italia, a meno che lo staff di MedFilm non lo catturi. In questo fine settimana nell’ambito dei Talents due Master Class seguitissime con il Presidente della Giuria Internazionale regista e sceneggiatore Paul Verhoeven e l’attrice americana Maggie Gyllenhaal e la seconda con l’artista Christo che ha raccontato la nascita, lo sviluppo e creazione delle sue installazioni coadiuvato da team di architetti ed ingegneri. Ha sottolineato che per lui non ci sono preferenze per una piuttosto che un’altra come non ci sono preferenze di un genitore verso i figli.