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Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



sabato 30 maggio 2015

SPECIALE FESTIVAL DI CANNES - Tra mille polemiche archiviato il Festival che ha escluso gli italiani dal podio.


Non mi pare il caso di aggiungere altro a quello che è stato detto e scritto dai critici e dai cinefili sui social network sull’epilogo di Cannes 2015 che per gli italiani è stata una amara dèblache. Dei film italiani in competizione mi spiace che The Tale of The Tales di Garrone non abbia convinto la Giuria con la triplice fantasia dei tre Re incarnazione dei pregi e difetti degli esseri umani. Contavo molto poi sulle possibilità di Minervini con il suo scioccante doc sulla Louisiana che dal 28 maggio è nelle sale italiane. Vedremo come risponderà il pubblico in sala. Agli italiani sono andati due premi di consolazione.

Il premio della Giuria Ecumenica al film di Moretti e il premio della Semaine de la Critique per la categoria dei corti al solito Fulvio Risuleo che per la seconda volta consecutiva vince con il suo ultimo corto Varicella. Ma andiamo con ordine.

La nutrita pattuglia francese ha portato a casa la Palma d’Oro con Dheepan di J. Audiard, sfruttando il tema attualissimo delle migrazioni all’Europa dai paesi in guerra. Tema di per sé presente in molte produzioni, come ad esempio in Mediterranea dell’italiano Jonas Carpignano in competizione per la Semaine de la Critique, ma trattato in maniera inusuale dal cineasta francese. Infatti Dheepan è un soldato Tamil che per sfuggire alla guerra in Sri Lanka insieme alla giovane Yalini ed alla piccola orfana Illayaaal si fingono essere i componenti di una famiglia. Viene fuori una storia di scontri all’interno del nucleo familiare piuttosto che con il paese di accoglienza come ci si aspetterebbe. Ecco perché ha convinto la Giuria sebbene ci fosse qualche pecca nel linguaggio cinematografico con l’utilizzo di scene d’azione non del tutto appropriate al tema. Per me avrebbe dovuto vincere la Palma d’Oro l’esordiente ungherese Lazslo Nemes con SAUL FIA. Anche in questo caso un tema ricorrente nella filmografia mondiale sulla Shoa. Il soggetto viene trattato però con un linguaggio cinematografico di altissimo livello, sia per la parte visuale che per la parte del sonoro in un crescendo di coinvolgimento dello spettatore nell’inferno disumano di un campo di concentramento nazista fino all’ultima immagine simbolo dell’atroce destino di sei milioni di ebrei. Gli strettissimi primi piani di Saul, al quale non importa né fuggire né documentare all’esterno quello che succede nel campo, bensì salvare la sua umanità depredata dall’orrore nazista, inondano il cuore dello spettatore. Quindi la Giuria non ha potuto fare a meno di assegnargli il Grand Prix 2015. Il premio per la miglior regia assegnato al taiwanese Hou Hsiao Hsien con The Assassin, poteva essere preteso dal maestro cinese Jia Zhang-Ke con il suo Mountains May Depart. In realtà nell’ambito della Quinzaine des Realisateurs il Maestro ha ricevuto l’onorificenza della Carrosse d’Or. Il film è l’epopea di due generazioni di cinesi emigrati in Australia con il loro fardello di amori, speranze e disillusioni. La protagonista Tao, interpretata da una affascinante Zhao Tao, poteva pure aspirare alla Palma come migliore attrice. Questo premio come è noto è andato invece ex equo a Emmanuelle Bercot, attrice e regista del film di apertura La tete Haute, per la sua interpretazione in Mon Roi dell’altro francese Maiwenn ed a Rooney Mara, coprotagonista nel film Carol dell’americano Todd HAynes. Si direbbe che sia stata raggiunta una soluzione di compromesso tra i componenti della Giuria.

A proposito dei cineasti asiatici il terzo film in concorso Umimachy Diary (Our Little Sister) del giapponese Hirozaku Kore-Eda è stato messo da parte sebbene sia un delicatissimo film sui rapporti parentali. Lo spettatore resta affascinato dalla serenità che il film gli trasmette, ma anche stupito dalle innumerevoli scene conviviali a tavola dove le quattro sorelle si confrontano. Sempre sul fronte orientale al citato The Assassin sarebbe dovuto andare il premio per la sceneggiatura piuttosto che per la miglior regia. Il premio per la miglior sceneggiatura è andato invece con stupore al film Chronic del messicano Michel Franco. In realtà sebbene la storia sia inusuale, lo svolgimento risulta prevedibile soprattutto nel tragico finale che il pubblico avverte in anticipo. La marcia in più di questo film è dovuta senza dubbio all’interpretazione di Tim Roth, nei panni dell’imperscrutabile infermiere, miglior attore della competizione. Invece la giuria ha preferito come miglior attore l’interpretazione di Vincent Lindon in La Loi du Marchè. La scelta della Giuria è stata determinata dal fatto che è un film attualissimo sul brutale mercato del lavoro e le sue conseguenze morali. La Giuria ha avuto il buon senso di scartare il film della Donzelli, che è perfettino ma insipido con finale scontato come il film del messicano Michel Franco prima citato. Infine il premio della Giuria è stato assegnato al geniale greco Yorgos Lanthimos con The Lobster che ha attinto a piene mani da La 10ma vittima (1965) di Elio Petri. Evitiamo le polemiche ma possibile che nessuno dei tre italiani era all’altezza?

Nemmeno lo spericolato Garrone con il suo fantasy? Tra i film scartati dalla giuria vale la pena menzionare Valley of Love, ultimo dei film  francesi in gara, di Guillame Nicloux. L’interpretazione dei due attori francesi d’eccezione Depardieu e la Huppert, i quali possono permettersi di interpretare se stessi, è superba. Peccato che sono stati accolti con tanti pregiudizi. Ma vi assicuro che sono stati 90’ spesi bene. Anche nella sessione a latere Un Certain Regard non è andata bene per l’unico italiano in corsa Roberto Minervini con The Other side. Viaggio nella America dei derelitti. Il film doc è esplosivo e qualcuno dice che giudica i protagonisti e per questo non ha convinto la Giuria presieduta da Isabella Rossellini. La Giuria ha preferito il doc Islandese HRUTAR di Hakonarson dai risvolti noir sui pastori dell’isola europea più a Nord e dei loro greggi di montoni decimati da una malattia endemica. I cineasti islandesi non sono alla prima esperienza al riguardo. Nel 2013 infatti un altro cineasta si cimentò sul rapporto tra l’uomo e i cavallini tipici dell’Islanda con Of Horses and Men. Sempre doc dai risvolti noir. Al rumeno Corneliu Porumboiu con The Treasure è andato il premio quale Miglior Talento. La sceneggiatura del film è fuori degli schemi e affascina, ma è ripetitiva. Anche il filippino Brillante Mendoza con Taklub aveva tutte le carte in regola per ricevere un premio, sia per il tema che per il suo svolgimento nel linguaggio cinematografico. Il film affronta il tema delle vicissitudini da sopportare da parte della popolazione della città filippina di Tacloban colpita dal tifone Hayan. Taklub si è dovuto accontentare del premio della Giuria Ecumenicale. Invece il premio della Giuria Un Certain Regard è andato al croato Dalbor Matanic con Zvidan. Tre storie d’amore proibiti lungo l’arco di trenta anni dal 1991 al 2011 in due villaggi dei Balcani che hanno in comune una lunga storia di intrecci interetnici. Anche il giapponese Kyoshi Kurosawa, premiato nel 2013 al Festival di Roma e più volte presente a Cannes, ha ricevuto con Journey To The Shore il premio per la miglior regia. Il film giapponese narra la storia della riapparizione del marito di Mizuki (Yusuke) dato per disperso in un incidente in mare. All’indiano Neeraj Ghaywan con Masaan è andato il premio quale futura promessa delcinema ex equo con Nahid della iraniana Ida Panahandeh. Il film indiano affronta il tema attualissimo delle caste e dell’inferiorità della donna nella società indiana con una bella storia d’amore. Rispetto ad altri film indiani allo spettatore è evitato il frapporsi nella storia di cantanti famosi come generalmente avviene. A Masaan è andato anche il Premio FIPRESCI. Alla pari il film iraniano Nahid tratta anch’esso della diseguaglianza di genere questa volta in Iran. Infine menzioniamo per la Semaine della Critique il premio assegnato all’argentino Santiago Mitre con il suo La Patota (Pauline). Storia al femminile di rinunce per mantenere fede alle proprie convinzioni. Il film è stato pure premiato con il premio della critica FIPRESCI. La stessa giuria ha premiato l’esordiente ungherese Laszlo Nemes con il poetico SAUL FIA di cui abbiamo ampiamente prima parlato. Per concludere accenniamo a come i nostri tre eroi reduci da Cannes sono stati accolti in patria. Dalla loro uscita nelle sale, 16 aprile per Moretti, 14 maggio per Garrone e 20 maggio per Sorrentino, i tre film non sono ancora riusciti a rifarsi delle spese sostenute, attestandosi sui tre milioni di euro di incassi circa di Moretti e Sorrentino e i due milioni circa di incassi per Garrone. Questo è un campanello di allarme che deve fare riflettere su come è prioritario riorganizzare il settore audiovisivo facendo sistema tra le varie componenti come già avviene oltre alpe. La Mostra del Cinema di Venezia è troppo a ridosso per poterci redimere e quindi possiamo solo augurarci che vada meglio per noi.
 

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