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Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



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mercoledì 1 marzo 2017

Nelle sale italiane dal 2 marzo, Passeri – la recensione di Marina Pavido

Passeri è l'ultimo lungometraggio del giovane regista islandese Runar Runarsson.
Ari è un ragazzo di 16 anni che vive in città con la madre. Un giorno quest'ultima è costretta a trasferirsi in Africa insieme al suo nuovo compagno e non può più occuparsi del ragazzo, il quale, a sua volta, è costretto a trasferirsi in un piccolo villaggio dove vivono sua padre e sua nonna. Qui Ari, riscoprendo il rapporto con suo padre ed innamorandosi di Lara, sua vecchia amica di infanzia, avrà modo di entrare ufficialmente nell'età adulta.
Fin dalle prime inquadrature, ciò che colpisce in Passeri è come - di fianco al personaggio di Ari - il paesaggio islandese, con i suoi grandi spazi vuoti che stanno quasi a disorientare sia lo spettatore che i protagonisti stessi della pellicola, sia trattato - come spesso accade nella cinematografia nordeuropea - quasi alla stregua di un coprotagonista. E la cosa vien fatta a ragione, visti i meravigliosi paesaggi di cui tutto il Nord Europa dispone. Per quanto riguarda l'Islanda nello specifico, è stato così per i lungometraggi della compianta Solveig Anspach, ad esempio, giusto per citare uno dei nomi più noti.
In questo interessante romanzo di formazione, dunque, le inquietudini adolescenziali di Ari ben vengono sottolineate da spazi tanto affascinanti quanto agorafobici, che ben rendono il senso di spaesamento di chi, come il nostro protagonista, sta per abbandonare per sempre il mondo ovattato e caldo dell'infanzia, per affacciarsi nell'età adulta, dove niente e nessuno sembra stare dalla tua parte.
A ben rendere questa sensazione, particolarmente indovinato risulta il giovane Atli Oscar Fjalarsson, che riesce a reggere praticamente quasi tutto il lungometraggio da solo.
Persino tematiche come il conflitto generazionale, l'assenza di uno dei genitori o i primi innamoramenti vengono trattati dall'occhio giovane ma esperto di Runarsson con attenzione e delicatezza, senza mai cadere in banali clichés o dare qualcosa per scontato. Il risultato finale è una vera e propria chicca della cinematografia nordeuropea, presentata dall'Islanda agli Oscar 2017 e distribuita in Italia grazie a Lab80 e che, si spera, possa ottenere l'attenzione che merita.

Marina Pavido

mercoledì 28 settembre 2016

Nomine agli OSCAR: il perché di una scelta italiana azzeccata

La svolta della Commissione di selezione del candidato italiano agli Oscar verso un cambiamento nei confronti dei tanti equilibri

 
E’ noto che per la candidatura italiana di FUOCOAMMARE ai prossimi
Oscar si è consumato uno strappo all’interno della Commissione riunitasi all’ANICA con strascichi di polemiche anche da parte del Premio Oscar Paolo Sorrentino che tanto amiamo che avrebbe preferito una doppia candidatura. Fuocoammare di Gianfranco Rosi nella sezione documentari e Indivisibili di Edoardo De Angelis nella sezione miglior film straniero. Non discutiamo la potenza di De Angelis al quale manca però l’universalità di Rosi. D’altronde il film di Rosi va oltre la confezione documentaristica e rende giustizia all’avamposto dell’Europa dal nome Lampedusa. Perché non dimentichiamoci che l’umanità in fuga dalle guerre incontra prima di tutto il Dott. Bartolo medico condotto dell’isola e la sua generosa empatia che ha conquistato Meryl  Streep e il pubblico della Berlinale.
Ma quale tra i titoli che le altre nazioni hanno già scelto possiamo dire che sono all’altezza del grido universale che Rosi ha lanciato?
Dall’Europa sono almeno sei i registi che possono aspirare all’Award ed in particolare dalla Bosnia ed Erzegovina Death in Sarajevo di Danis Tanović, già Oscar nel nel 2002 con No Man’s Land, dalla Danimarca Land of Mine di Martin Zandvliet, dalla Georgia House of Others di Rusudan Glurjidze, dal Kosovo Home Sweet Home di Faton Bajraktari, dalla Romania Sieranevada di Cristi Puiu e dalla Russia Paradise di Andrej Končalovskij. Tutti film che in forma indiretta con storie passate ci ricordano il male che attanaglia l’Umanità: la guerra.
Invece Rosi è diretto e colpisce la coscienza di tutti, oggi qui. Per tutto
questo diciamo che la scelta ha rotto una volta per tutte con gli equilibrismi non sempre felici di cui siamo stati capaci.
Ma anche dagli altri continenti possiamo enumerare un poker d’assi ed in particolare dalla Australia il commovente Tanna di Martin Butler e Bentley Dean, dalla Corea del Sud il Colossal The Age of Shadows di Kim Jee-woon, dall’Iran The Salesman di Asghar Farhadi e da Israele Sand Storm di Elite Zexer. Ringraziamo poi la Francia che ha preferito a Frantz di Ozane, passato recentemente a Venezia, piuttosto Elle. In ultimo potremmo inserire nella lista dei film l’outsider dalla Repubblica Ceca con lo stravagante Lost in Munich di Petr Zelenka e dal Giappone il toccante Haha to Kuraseba di Yoji Yamada. Dobbiamo però aspettare il 26 gennaio quando sapremo la cinquina dei candidati stranieri agli Oscar 2017.