Descrizione

Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



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lunedì 5 settembre 2016

Speciale 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - sabato 3 e domenica 4 settembre (DAYS 4&5):

Mentre Paolo Sorrentino e Jude Law entusiasmano il red carpet e Ozon  ci fa riflettere sulla guerra, i riflettori sono puntati sul nuovo cinema italiano documentaristico di D’Anolfi e Parenti

dal Lido di Venezia Luigi Noera – Foto per gentile concessione della Biennale. Nel fine settimana grande attesa per il primo film degli italiani in concorso, il documentario di D’Anolfi e Parenti, ma anche i primi due episodi della nuova serie Tv firmata dal premio Oscar Sorrentino. Ma andiamo con ordine, sabato è stata la volta del primo francese François Ozon in concorso a   VENEZIA 73 con Frantz . Uno sguardo
diverso sui rapporti tra i popoli dell’Europa da poco dilaniata dalla Grande Guerra. Rimorsi, difficoltà al perdono, non rendersi ancora conto delle parole come Patria che tanti lutti ha provocato. Come detto da Barbera molti dei film di questa edizione sono tratti dall’arte dello scrivere e infatti molte pellicole di questa edizione lo sono. In questo caso si tratta di una piece teatrale al quale ha attinto anche Lubitsch per parlare della Grande Guerra. Intervistato al proposito Ozon ha ammesso di aver scoperto successivamente l’anologia con l’opera di  Lubitsch.  E’ una storia all’incontrario dove il vincitore chiede perdono al vinto. Il regista ha utilizzato sapientemente il bianco e nero per virare in alcune parti al colore, aggiungiamo
forse troppe volte. Eccezionale l’interpretazione sia del protagonista maschile che della giovane vedova bianca. Il regista ha aggiunto: per me è stato molto importante raccontare questa storia dal punto di vista tedesco, dalla parte dei perdenti, attraverso gli occhi di coloro che furono umiliati dal Trattato di Versailles, in modo da poter illustrare come la Germania di quel tempo fosse terreno fertile per la diffusione del nazionalismo. Girato in Europa anche il Western dell’olandese Martin Koolhoven che con il suo Brimstone  
racconta una storia di violenza nel West americano. L’opera è suddivisa in capitoli con un
a somiglianza all’ultimo film di Tarantino dal quale prende a piene mani, raccontando però una storia tutta al femminile. Si potrebbe definire un thriller western con un finale da capogiro nel quale tutto è il contrario di tutto. C’è il sapiente dosaggio di empatia verso il cattivo, ma soprattutto un incoraggiamento verso l’eroina Litz. Qualcuno ha detto che è un film sulla religione e sulla violenza, direi piuttosto sulla violenza che strumentalmente si copre sotto una patina di pseduo religiosità. Secondo l’autore ogni regista di cinema adora i Western, ma è difficile creare qualcosa di originale con un genere che vanta così tanti e grandi predecessori. Per questo motivo sono passati anni, prima che trovasse il coraggio di scriverne uno. Lo voleva originale e diciamo che non è così ma olandese invece si! Nella stessa giornata di domenica il red carpet ha visto ospiti FUORI CONCORSO l’autore Paolo Sorrentino e il protagonista Jude Law di The Young Pope (episodi I e II). Storia
fantasiosa di un altrettanto fantasioso Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo papa americano della storia che giunge sul soglio Pontificio. Purtroppo alle scene di matrice felliniana che ritroviamo spesso in Sorrentino si accostano dei facili luoghi comuni ed il risultato sono gli alti ed i bassi della pellicola d’autore pensata per il piccolo schermo. L’interpretazione di Silvio Orlando invece ne conferma un grande artista napoletano e lo vediamo muoversi agevolmente nei panni del Segretario di Stato a contrastare il vento nuovo del giovane Papa. Riportiamo cosa ha mosso Sorrentino in questa difficile impresa: I segni evidenti dell’esistenza di Dio. I segni evidenti dell’assenza di Dio. Come si cerca la fede e come si perde la fede. La grandezza della santità, così grande da ritenerla insopportabile. Quando si combattono le tentazioni e quando non si può fare altro che cedervi. Il duello interiore tra le alte responsabilità del capo della Chiesa cattolica e le miserie del semplice uomo che il destino (o lo spirito santo) ha voluto come pontefice. E’ storico invece Miljeong (The Age of Shadows) del coreano  
Kim Jeewoon .
Anche in Asia la storia della resistenza per la patria è fonte di ispirazione degli autori cinematografici. La messinscena risente della spettacolarità del cinema sudcoreano e della precisione di ogni dettaglio. Una produzione che non ha badato a spese ed il risultato si vede. Siamo alla fine degli anni venti durante l’occupazione giapponese della Corea. A confronto due coreani che però combattono per ideali opposti Lee Jung chool, coreano agente nella polizia giapponese,  e  Kim Woo jin capo della resistenza. Il regista  confessa che tutto è partito dalla sua attrazione per i film di spionaggio. Miljeong è una drammatizzazione dell’attentato dinamitardo commesso da Hwang Ok ai danni di un comando di polizia nel 1923, durante l’era coloniale giapponese. “Volevo pervadere il film dell’emozione che provavo quando leggevo delle lotte dei combattenti per l’indipendenza, che si adoperavano per riscattare lo spirito delle persone che avevano perso il loro paese”.
Ci domandiamo perché non è stato selezionato in concorso. Nella selezione ORIZZONTI invece due film dal Belgio, il primo attualissimo sul rapporto degli adulti nei confronti di una adolescenza priva di ideali che si trasforma in noia e violenza per scaricare l’adrenalina. Si tratta di Home di Fien Troch che racconta appunto di due generazioni in conflitto. L’arrivo di un giovane diciassettenne uscito dalla casa di correzione provoca la rottura dei delicati (direi insulsi) equilibri familiari. Ma c’è anche  il rapporto insano di una madre single con John il suo unico figlio. La tragedia incombe sullo spettatore che improvvisamente si ritrova inorridito a fare i conti con la propria coscienza di genitore. E se fosse successo a me? Come spiega l’autore,  con Home ho scelto di girare un film corale,
perché volevo ritrarre sia una generazione, sia una comunità. Il secondo è un documentario fuori dai canoni King of the Belgians di Peter Brosens, Jessica Woodworth parla di Re Nicola III del Belgio in un road movie in cui un re apatico, perduto nei Balcani, finalmente riesce a destarsi. L’idea ai registi è nata dopo l’eruzione di un vulcano islandese. Con i seguenti ingredienti: un re belga in visita ufficiale a Istanbul, un evento naturale inatteso, una crisi politica e il resto è appunto un viaggio di ritorno via terra, tra ostacoli, rese dei conti e rivelazioni finali. In altre parole: spiazzamento come essenza della commedia. Grazie alla lente del regista inglese Duncan Lloyd che ha filmato la visita e che diventa il solo e unico occhio che ci mostra sei giorni straordinari.  In questo fine settimana anche i Venice Days non hanno deluso con l’opera prima POLINA, DANSER SA VIE dai francesi Valérie 
Müller e Angelin Preljocaj.
Al di là della storia è un inno alla danza attraverso la passione e l’amore della giovane Polina per l’arte. Ritroviamo una fresca Juliette Binoche nella parte di una inflessibile e straordinaria direttrice di un istituto di danza, ma anche il maestro Bojinski interpretato da Aleksey Guskov ( chi non ricorda The Concert?) che insieme alle due giovani romesse della regia mettono insieme un puzzle di emozioni oltre la danza. Ispirato alla graphic novel di Bastien Vives, «il viaggio di Polina – dicono gli autori – è tanto un’avventura fisica ed emotiva quanto un percorso di crescita artistica».
 
Nella giornata di sabato si è svolta CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEL DWA – DOC/IT WOMEN AWARD 
con l’annuncio della vincitrice e le finaliste del PREMIO OSPITI DELLE GIORNATE DEGLI AUTORI – VENICE DAYSHa vinto il DWA il progetto Rhapsodyin June di Barbara Andriano e Guendalina di Marco una produzione Filmika. Il progetto racconta la vita rocambolesca dell’ultima principessa di Birmania. Yadana Nat May, Maria Lucia Postiglione, June Rose Bellamy. Tre nomi diversi che raccontano la vita di una donna sui generis dal fascino senza tempo. Volitiva e coraggiosa ha vissuto all’insegna del “carpe diem” e del suo smodato bisogno di libertà.  Ultima principessa della dinastia reale Birmana, dotata di una disarmante bellezza, è stata moglie di un malariologo napoletano, compagna di un mossiere senese e sposa del feroce Ne Win, dittatore della Birmania. Sullo sfondo l’affresco di un paese che ha cambiato volto, un discusso matrimonio e infine la cucina come seconda possibilità per una nuova vita.Sono stati ben 64 i progetti arrivati e sottoposti alla giuria presieduta da Agnese Fontana – Presidente di Doc/it, affiancata da Sherin Salvetti, General Manager di A+E Networks Italy, Iole Giannattasio – Rappresentante italiana di Eurimages, Paolo Butturini, Segreteria Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giuliana Gamba, Giornate degli Autori, Venice Days. Cristina Priarone, Direttore Roma Lazio Film Commission.“Siamo molto felici di questa prima edizione del DWA – dichiara Agnese Fontana, Presidente di Doc/it – che ha avuto grandissima partecipazione e ha dato la possibilità alle finaliste di presentare il proprio progetto a Venezia all’interno delle Giornate degli Autori. Insieme ai nostri partner lavoriamo affinché questo premio sia un’occasione professionale vera di visibilità e di incontro con il mercato. DWA è una proposta concreta per favorire lo sviluppo di progetti documentari con una pluralità di racconto volta alla creazione di un fondo per lo sviluppo a lungo termine”.Gli altri progetti finalisti del DWA sono: A Kurdish Women's Dream di Giulia Bertoluzzi, Costanza Spocci e Eleonora Vio, una produzione Small Boss e Nawart Press, Almost Nothing _ Cern. A social experiment di Anna de Manincor (ZimmerFrei), Anna Rispoli, una produzione Bo Film, Uncut di Simona Ghizzoni e Emanuela Zuccalà una produzione Zona e Voglio una ruota di Antonella Bianco, una produzione Gamera.
 
Nella giornata di domenica invece per VENEZIA 73 l’attesissimo 
Spira mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Purtroppo le aspettative non sono state confermate ed alla proiezione stampa si sono avute notevoli defezioni man mano che le immagini scorrevano sullo schermo. La domanda che viene spontanea è come mai sia stato scelto questo doc a scapito di altri come ad esempio uno per tutti Francesco Munzi il quale, anche se di casa a Venezia, non è tenuto nel giusto conto ma è stato relegato nella selezione Fuori Concorso (sic!). Invece amabilissimo il film argentino in concorso El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat. Anche in questo caso tratto da un
lavoro dello  scrittore argentino Daniel Mantovani che vive in Europa da trent’anni e Premio Nobel per la letteratura. Da uno dei suoi romanzi sulla vita di Salas, paesino in cui è cresciuto e dove non è mai più tornato da quando era ragazzo. Da un lato il desiderio di tornare una volta alla terra natia, dall’altro differenze che lo trasformeranno rapidamente in un elemento estraneo e di disturbo per la vita del paese. Sono tante le scene esileranti e grottesche che ne fanno un capolavoro da premiare. A dire degli autori il film salda il debito per mezzo del protagonista Mantovani, che ottiene il premio che fu per anni negato a Jorge Luis Borges. Domenica è stata poi la giornata dell’epopea del primo soldato obiettore di
coscienza dell’esercito degli Stati Uniti. Parliamo del film FUORI CONCORSO Hacksaw Ridge di Mel Gibson storia vera di Desmond Doss che, a Okinawa, durante una delle più cruente battaglie della seconda guerra mondiale, salvò 75 uomini senza sparare un solo colpo. Il film purtroppo sconta un certo tipo di spettacolarizzazione hollywoodiana con effetti speciali da nmal di pancia e in taluni casi esagerati anche nella durata. Lunedì aspettiamo il responso della sala per il secondo italiano in gara: Piuma di Roan Johnson.

martedì 30 agosto 2016

Speciale 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – martedì 30 agosto (DAY -1):

Tre italiani in gara contro gli Studios che fanno il pieno nella Selezione Ufficiale, oggi preapertura con l’Omaggio a Comencini ed ai Fratelli Lumiere
 
 
 
 
 
 
La 73ma Mostra di Venezia aprirà ufficialmente i battenti domani con il
film americano in concorso La La Land di Damien Chazelle in omaggio agli Studios.  Dopo la conferenza stampa tenutasi ad un mese dall’inaugurazione nella quale il Presidente Baratta e il Direttore Barbera della 73esima Mostra hanno presentato le pellicole selezionate, la stessa è stata completata, in collaborazione con i Venice Days, con un film documentario fuori Concorso di Enrico Caria L’uomo che non cambiò la storia, liberamente ispirato al diario dell’archeologo e storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli "Il viaggio del Führer in Italia", realizzato grazie alle immagini d'archivio dell'Istituto Luce - Cinecittà. Nella Selezione ufficiale sono ben sei le produzioni dagli USA, a fronte dei tre italiani in gara. In
particolare Questi giorni di Giuseppe Piccioni, Piuma di Roan Johnson, il doc Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Il nuovo film di Piccioni, interpretato dalla Buy e da Timi è la storia di ragazze di provincia e del viaggio che compiono per accompagnare una di loro a Belgrado, dove l’attendono una misteriosa amica e un’improbabile occasione di lavoro. Roan Johnson firma invece con Piuma il suo terzo lungometraggio con attori sconosciutissimi, una commedia su una coppia di diciottenni in attesa del loro primo figlio. Spira Mirabilis è un film documentario sull’immortalità, una
sinfonia visiva girata in diversi luoghi del mondo, che ruota attorno ai quattro elementi fondamentali della natura: acqua, aria, terra, fuoco. Ma ci sono pure altri tre italiani Fuori concorso. Oltre l’atteso evento speciale con la proiezione dei primi due episodi di The Young Pope di Paolo Sorrentino, c’è Tommaso di Kim Rossi Stuart, film autobiografico che esplora il rapporto tra un giovane attore, oltretutto bello, e le donne. Sempre Fuori concorso, il primo film italiano del regista iraniano apolide Amir Naveri al quale verrà consegnato il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker. Il titolo è Monte: un uomo sua moglie e il loro figlio vivono ai piedi di una montagna che si erge come un muro contro i raggi del sole. Metafora della lotta per la sopravvivenza, contro i confini, le coercizioni e gli oltraggi che talvolta rendono la vita umana miserabile con un epilogo da togliere il fiato. E poi, due documentari: Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Giampaglia e Benedetta Argentieri che segue tre combattenti volontari, provenienti da Stati Uniti, Italia e Svezia, arruolati nelle milizie curde in Siria contro l’Isis; e Assalto al cielo di Francesco Munzi che, dopo il successo di Anime nere, torna a Venezia con un film d’archivio sulla stagione di lotte politiche extraparlamentari in Italia negli anni tra il 1967 e il ‘77, tra slanci, sogni, violenze e delitti. Due i titoli italiani in Orizzonti: Liberami di Federica di Giacomo sul fenomeno dell’esorcismo, e Il più grande sogno, opera prima di Michele Vannucci. Nella nuova sezione Cinema nel Giardino che pesca tra il cinema d’autore e quello del grande pubblico: L’estate addosso, “piccolo” film di Gabriele Muccino, Robinù doc sui baby boss della camorra di Michele Santoro che vira dalla TV al Cinema,  e Franca: Chaos and Creation, ritratto intimo della madre del regista Francesco Carrozzini. Quattro poi i corti italiani in Orizzonti, cinque i documentari nazionali in Venezia Classici. Insomma una nutrita schiera di nuovi talenti italiani a difendere il nostro cinema che sempre più riesce ad esprimersi con il linguaggio documentaristico. Come è stato spiegato quest’anno la direzione artistica ha preso come guida nella selezione, a differenza delle edizioni precedenti, quei film che parlano del presente con storie del passato e che quindi hanno un linguaggio indiretto ma universale utilizzando il materiale di romanzi come nel caso del delicato Un Vie della francese Brizé, oppure da opere teatrali dalle quali sono tratti sia l’atteso thriller di Tom Ford Nocturnal Animals sia Frantz di Ozon il quale ripropone temi cari a Lubitsch sulla Grande Guerra. Ci sono poi storie  utilizzate da autori provenienti dall’America Latina come El Ciudadano Ilustre degli argentini Cohn & Duprat e El Cristo Ciego del cileno Murray per esprimere sentimenti nel primo caso o tesi cristologiche tanto care a
Pasolini nel secondo. Anche Pablo Larraín  sarà presente con Jackie, ovvero l’assassinio di J.F. Kennedy visto da un punto di vista molto particolare, appunto della First Lady. Ci sono anche i grandi ritorni di registi come Kusturica con una storia fiabesca protagonista Monica Bellucci e lo stesso regista, dall’elaborazione di un suo cortometraggio. La grande attesa è per il visionario americano Malick che porta un suo lavoro durato dieci anni Voyage of Time. Ed anche Wim Wenders che in 3D presenta il tema
universale dell’Amore con Les beaux jours d’Aranjuez in un quadro pittorico d’altri tempi. La scuola  di cinema della Russia è rappresentata da Konchalasky che con Paradise racconta la Shoa da un punto di vista originale nell’intreccio dei tre protagonisti. Da oltreoceano il visionario regista messicano Escalante con la Region Salvaje mette a nudo l’omofobia e maschilismo di certe parti del suo paese. Ma ci sembra che la perla della
Mostra sarà regalata dal filippino Lav Diaz con la sua performance di oltre tre ore con una storia semplice: The Woman Who Left. Al centro il perché sull’esistenza umana che è in fondo la domanda che ognuno di noi si pone sebbene sotto varie forme. Ci sono poi film di genere come l’americano The Light Between Oceans di Cianfrance, il thriller fantascientifico Arrival dell’altro americano Villenue, il western atipico Brimstone del belga Koolhoven. Si può dire che Barbera è andato a pescare tra oltre un migliaio di pellicole quelle che possono ancora una volta sorprendere ed attirare il pubblico cinefilo che è il motore della kermesse. Una menzione la dedichiamo al Cinema nel Giardino, già al suo secondo anno, che sarà ospitato nello spazio per tanti anni simbolo di incuria istituzionale. Dove c’era “il Buco” finalmente l’amministrazione comunale ha posto rimedio e lì sorge il Cubo Rosso, la nuova Sala che offre 450 posti dedicati al grande pubblico non propriamente festivaliero. La Mostra si apre all’esterno con sette film che come abbiamo detto sono tra il cinema d’autore e quello del grande pubblico.  Ci scuseranno i lettori per quelle pellicole che non abbiamo citato, ma di cui vi parleremo nei prossimi giorni.
 
Siccome la cinematografia presente è come l’umanità un processo di sviluppo dedichiamo qualche riga a Venezia Classici restaurati ed in particolare al film di apertura Shabhaye Zayandeh – rood (The Nights of Zayandeh – rood), un film che il regista Mohsen Makhmalbaf realizzò in Iran nel 1990. All’epoca, il comitato di censura iraniano stabilì che il film andava contro lo spirito della rivoluzione iraniana e di conseguenza tagliò 37 minuti del negativo originale. Della versione mutilata fu comunque vietata qualsiasi proiezione pubblica, così come fu negata la possibilità di realizzare copie del film. Nel 2016 alcune parti del negativo originale sono state recuperate presso gli archivi del comitato di censura iraniano. La copia, restaurata dallo stesso Makhmalbaf, dura 63 minuti invece degli originali 100. Le parti mancanti sono irrimediabilmente perdute.
Passiamo ad una carrellata sulle due sezioni autonome che si svolgono in concomitanza della 73ma Mostra.
Il motto di questa edizione di Venice Days è:Il Futuro è Donna
Molti dei generi visivi sono stati scelti per questa edizione 2016  sotto l’emblema di forte dell’originalità espressiva dalla Siria alla Bolivia, dalla Svezia all’Asia, si affrontano i grandi temi della politica e del disagio sociale: il documentario (The War Show), il racconto di formazione (Heartstone e Polina), il melodramma (Indivisibili e Pamylia Ordinaryo), il suspence thriller (Hounds of Love), il western (Pariente), il road-movie (The Road to Mandalay), senza dimenticare il dramma familiare declinato in chiave realista (La ragazza del mondo), grottesca (Quit Staring at My Plate), memoriale (Sami Blood). Ma ancora una volta è l’individuo singolo a combattere contro l’ineluttabilità del destino e la crudezza della società. Segno di uno smarrimento che caratterizza le nostre società. Ed infatti l’apertura delle Giornate 2016 è riservata all’emozionante video-diario dal cuore della Siria The War Show del danese Andreas Dalsgaard e della siriana Obaidah Zytoon.
Tra le altre manifestazioni collaterali ai Venice Days c’è anche il DWA -
Doc/it Women Award che è un premio al racconto, alla creatività e all’imprenditorialità al femminile ideato e promosso da Doc/it - Associazione Documentaristi Italiani. Per la sua prima edizione Doc/it ha scelto i Venice Days per comunicare i cinque progetti nominati e il vincitore con un evento dedicato all’interno dei Women’s Tales di MIU MIU. Il nuovo Premio allo Sviluppo di documentari è atto a favorire la parità di genere sia in ambito creativo che produttivo aperto a tutti i progetti di documentario in sviluppo con 2 requisiti su 3 (storia, regia, produzione) di presenza al femminile.
Quanto alla 31. Settimana Internazionale della Critica essa è improntata al "piacere filmico", come spiegato da Giona A. Nazzaro nella sua presentazione. La natura della Settimana della Critica si scopre dalle pellicole selezionate quest'anno, individuate fra più di 500 film iscritti. Un "piacere" del quale il rischio e lo stupore sono gli elementi base. Da Prevenge – geniale horror-movie post-femminista diretto da Alice Lowe a
Le ultime Cose di Irene Dionisio – tesa rivisitazione dell'umanesimo neorealista. C’è poi Keywan Karimi, cineasta iraniano condannato a un anno di carcere e 223 frustate per offesa all'Islam, che firma Drum, un noir metafisico ed espressionista, mentre Ala Eddine Slim, documentarista e videoartista tunisino, presenta The Last of Us e rilancia con audacia un cinema sperimentale e astratto, avventuroso e addirittura schiettamente fantascientifico. Il cinema è anche un'arte giovane per definizione come mostra l’esperimento di Los nadie di Juan Sebastián Mesa, girato in sette giorni fra le strade più inaccessibili di Medellin, o a Prank di Vincent Biron, passato alla regia e apologo di nichilismo. Ma il cinema può essere anche un riprendere (o un riperdere) il proprio posto nel mondo, Jours de France di Jérôme Reybaud ipotizza un sensuale viaggio sentimentale, utilizzando un navigatore d'eccezione come Grindr, per ritrovare i nomi dimenticati delle cose. C’è anche la presenza sorprendente di Pepe Smith, leggenda del rock filippino, protagonista di Singing in Graveyards, assieme a Lav Diaz, si offre come immagine e specchio del complesso rapporto con la modernità e la democrazia del suo paese. Infine in chiusura una sorpresa proveniente dagli Stati Uniti con Are We Not Cats di Xander Robin, un melodramma horror viscerale, una favola dark scandita dalla musica dei Funkadelic, Yvonne Fair, Lightning Bolt e Albert Ayler.
Ma parliamo della serata odierna dedicata ai Veneziani. Centoventi anni fa – esattamente la sera del 9 luglio 1896 -  il Cinématographe Lumière faceva la sua prima apparizione a Venezia, con la proiezione a un passo da Piazza San Marco, nel Teatro Minerva, di un programma composto da 15 "vedute". Ma è solo il 21 agosto successivo che vi compaiono per la prima volta 3 film realizzati a Venezia:  Approdo di una gondola ai santi Giovanni e Paolo,  I vaporetti a Rialto e I leggendari piccioni di San Marco, seguite poi da altre nei giorni seguenti. Per celebrare questa importante ricorrenza, in occasione della serata di Pre-apertura della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (martedì 30 agosto, ore 20.30) in Sala Darsena al Lido, prima della proiezione del già annunciato restauro di Tutti a casa di Luigi Comencini, verrà offerto al pubblico, convenuto per la celebrazione del centenario di Comencini, un programma composto da ben nove “vedute” realizzate a Venezia dagli operatori del Cinématographe Lumière, commentate in sala dal Direttore dell’Institut Lumière di Lione, Thierry Fremaux.
I film, che appartengono a tre annate successive (1896-98), sono:
Arrivée en gondole, 1896, N°291
Pigeons sur la place Saint-Marc,  N°292
Tramway sur le Grand Canal, 1896, N°293
Grand Canal avec barques, 1896, N°294
Panorama du Grand Canal pris d'un bateau, 1896, N°295
Panorama de la place Saint-Marc pris d'un bateau, N°296
Venise, place Saint-Marc, 1897, N°430
Arrivée en gondole des souveraines d'Allemagne et d'Italie au palais royal de Venise, 1898, N°1058
Départ en gondole, 1898, N°1059
A seguire la proiezione delle “vedute”, in occasione del centenario della nascita del grande regista Luigi Comencini (1916 – 2007) sarà proiettato – come già annunciato - il capolavoro di Comencini Tutti a casa (Italia/Francia, 1960) con Alberto Sordi, Serge Reggiani, Carla Gravina ed Eduardo De Filippo. Alla speciale serata-omaggio di Pre-apertura in Sala Darsena al Lido, con inizio alle 20.30, è invitato il pubblico di Venezia attraverso la collaborazione con i quotidiani “Il Gazzettino”, “La Nuova di Venezia e Mestre” e il “Corriere del Veneto”.
La pellicola restaurata Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini mostra attraverso lL’8 settembre 1943, il giorno dell’Armistizio, i sentimenti e la società italiana provata dalla guerra. Ma chi meglio dell’autore può spiegarci il film? La risposta riportata in un saggio Al cinema con cuore. 1938-1974, a cura di Adriano Aprà recita: “Tutti a casa non è nemmeno un film di guerra. È un viaggio attraverso l’Italia in guerra di quattro sbandati (quattro “stupidi” sprovveduti) che vogliono tornare a casa. Sordi non è un vigliacco, anzi, è un ufficiale che tiene moltissimo al suo grado e che cerca fino all’ultimo di adempiere a quello che egli crede sia il suo dovere. Solo che, senza saperlo, è un ufficiale che non ha capito niente. [...] Riteniamo che il dramma dell’Armistizio del ’43 sia stato soprattutto il dramma degli ufficiali. Allora, chiunque avesse un titolo di studio, avesse o no attitudini militari, diventava ufficiale. Anzi, la fotografia in alta uniforme era un po’ il coronamento della laurea”.