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Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



venerdì 6 marzo 2015

65esima Berlinale: Cronaca di una kermesse lunga 11 giorni con più di 400 pellicole ovvero, come ha detto il Direttore del Festival Dieter Kosslick, “Il Giro del Mondo in 11 giorni”

Da Berlino Luigi Noera
(le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival Berlinale)
Con questi numeri a disposizione si è dovuta fare una scelta drastica. Innanzitutto tra i film della Selezione Principale in competizione e non, e una scelta mirata tra i titoli sia delle Selezioni Special e Classic, sia delle Sezioni Panorama e Forum dove vengono presentati film di spessore e tendenza dai Cinque Continenti. Purtroppo siamo stati costretti a disertare sia i Corti che la sezione Prospettiva sul nuovo cinema tedesco. Abbiamo assistito alla proiezione di 15 dei 23 film  in Competizione e non, di un film della selezione Special e di uno della selezione Classic. Per un disguido purtroppo non siamo riusciti a vedere il film tedesco Victoria premiato per il miglior contributo tecnico. Delle sezioni Panorama, Panorama Doc e Forum abbiamo scelto la visione di 8, 6 e 5 film rispettivamente. Infine abbiamo voluto sbirciare nella sezione collaterale Generation K+ e dobbiamo dire che anche con un po’ di fortuna l’unico film che abbiamo visto è risultato il vincitore. Diciamo pure che abbiamo centrato l’obbiettivo non solo con quasi tutti i film in Competizione, ma anche con quelli delle sezioni Panorama e Forum. Detto questo, ecco la cronaca commentata della 65esima Berlinale, con l’augurio se non certezza che molti di questi film li potrete vedere anche voi nelle sale.
Innanzitutto possiamo dire che la Berlinale si è chiusa con l'affermazione dei Paesi, dove la democrazia non è ancora ben radicata e che invece hanno un produzione cinematografica effervescente.
 La Giuria presieduta da Darren Aronofsky ha premiato a ragione TAXI dell’ iraniano Jafar Panahi, che ha ricevuto l’Orso D’Oro. Il Direttore Dieter Kosslick ha centrato l’obbiettivo volendo a tutti i costi presentarlo, anche tra mille polemiche. Il film è stato girato con pochi mezzi a bordo di un taxi per le vie di Teheran, dove il regista è in ostaggio. Il risultato è un manifesto dell’attuale stato di salute del cinema iraniano con protagonisti di strada e la nipote di Panahi, la giovanissima Hana Saiedi, che ha interpretato egregiamente se stessa e che ha ritirato il premio per lo zio. Appena visto TAXI si è avuta la certezza che avrebbe vinto non solo per le sue qualità estetiche ma anche morali. A Taxi è andato pure il Premio collaterale FIPRESCI. Riportiamo la motivazione della Giuria:
Il premio va a un film che mostra grande coraggio personale e artistico. Si tratta di un racconto su più livelli della vita di tutti i giorni, una esplorazione narrativa e originale sia delle scelte umane e sia di una esistenza vincolata. Un ritratto umano e sottile di un regista e il suo paese, un uomo e il suo ambiente e i suoi concittadini. Soprattutto spiritoso e acuto sulla libertà di parola che comprende la lotta di tutti gli artisti che cercano di superare le limitazioni della realtà e di esprimere le proprie emozioni e opinioni indipendentemente dalla censura o i divieti delle autorità.
Invece sul film El Club di Pablo Larrain, che ha vinto l’Orso d’Argento al miglior film, c'è da ridire sullo smaccato sbilanciamento senza spazio alla redenzione della Chiesa. Infatti la frase finale “Dio è l’unico che sa” sembra troppa semplicistica per liquidare la volontà di pulizia da parte dell’Ecclesia al suo interno con l’intervento di un padre gesuita inviato per indagare.
 Piuttosto il premio lo meritava il regista esordiente Jayro Bustamante per la drammaticità del suo Ixcanul, premiato invece con l’Orso d’Argento Bauer Prize. . Come detto dallo stesso regista, in Guatemala il commercio di giovanissime vite umane non è un mistero. Il film denuncia le terribili conseguenze dell’analfabetismo. Maria è una giovane contadina maya che vive con la sua famiglia ai piedi del vulcano guatemalese Ixcanul e insieme ai genitori lavora nelle piantagioni di caffè. Il mondo moderno così sognato da Maria salverà la sua vita, ma a che prezzo! Bisogna dire che gli attori sono non professionisti, scelti tra gli abitanti maya della zona dove si sono svolte le riprese. L’Orso d’Argento per il miglior film, è stato assegnato invece a El Club.
Il Premio per la Miglior Regia è andato al rumeno Radu Jude  con Aferim! La storia è ambientata nella Vallacchia ottocentesca ma medievale. In quei territori sotto il domino ottomano esisteva ancora la schiavitù. Con stile mutuato dal western viene raccontata la caccia da parte di un poliziotto ad uno schiavo zingaro colpevole di adulterio con la moglie del suo padrone. Non c’è umanità nei personaggi della storia e il film dal ridicolo sfocierà in un finale scioccante. Ex equo con Aferim! il film Body della regista polacca Malgorzata Szumowska. Il rapporto della giovane Olga con il proprio corpo attraverso il suo sguardo anoressico, nel rapporto con il padre giudice, abituato a visionare scene di crimine, e con la terapista Anna. Ognuno dei tre coprotagonisti vede la propria fisicità in maniera diversa. I due film però non hanno convinto sotto il profilo della regia che lo meritava invece El Club. Anche 45 Years di Andrew Haigh è stato premiato. Una anziana coppia entra in crisi alla soglia del festeggiamento dei quarantacinque anni di unione. I due protagonisti di questa inglesissima storia premiati come migliori attori sono la sempreverde Charlotte Rampling e il collaudato Tom Courtenay.
Bisogna dire che la migliore attrice invece è stata Juliette Binoche la quale ha dato il meglio di se nel film di apertura della Berlinale Nobody Wants the Night della spagnola Isabel Coixet. Siamo nel 1908, e una giovane facoltosa newyorkese si avventura nello sterminato territorio del Polo Nord alla ricerca del marito esploratore. Invece incontra una donna eskimese che si rivelerà sua rivale in amore. Con stile asciutto viene raccontato l’evolversi solidale, fino al sacrificio, del rapporto tra due donne profondamente diverse tra loro per nascita e cultura, ma unite dall’amore per lo stesso uomo. Come migliore attore andava premiato Alfredo Castro, uno dei protagonisti di El Club nella parte di Vidal, prete spretato per i suoi trascorsi non proprio limpidi.
 I film Knight of Cups di Terrence Malick, Queen of the Desert di Werner Herzog ed Every Thingh Will Be Fine di Wim Wenders, quest’ultimo fuori concorso, molti attesi dal pubblico della Berlinale, vuoi per i nomi blasonati sia dei registi che dei protagonisti, hanno deluso la platea. La loro comune caratteristica è il narcisismo delle star: Christian Bale e Cate Blanchett, Nicole Kidman e James Franco e lo stesso James Franco in compagnia di Charlotte Gainsbourg. Questi film usciranno nelle sale dove avranno assicurato il successo. Knight of Cups è una favola sul mondo dorato di Hollywood dove vive un disincantato Rick interpretato da un annoiato Bale.
Queen of the Desert è la vera storia di una “Lawrence d’Arabia” al femminile dove la parte emozionale piuttosto che Nicole Kidman la procurano i paesaggi del deserto d’Arabia. Dispiace poi per Wim Wenders che ha diretto James Franco e Charlotte Gainsbourg in una storia cupa e triste che si trascina per due ore alla ricerca del perdono che non è detto che sarà dato.
 Un altro film di origine anglosassone che ha deluso è Woman in Gold di Simon Curtis. Il regista qualche anno fa aveva avuto successo con Marilyn (My week with Marilyn).Woman in Gold è stato inserito nella Rassegna Berlinale Special. Una storia vera e interpretato dalla bravissima Helen Mirren nei panni di una eroina di origini ebraiche emigrata in America per fuggire dalla Germania nazista. Maria Altman è alle prese con i fantasmi del nazismo per riportare in America, che considera la sua vera patria, un famosissimo dipinto di Gustav Klimt. Si tratta appunto della “Donna in oro” il cui viso era stato prestato a Klimt dal volto della nonna di Maria, Adele Bloch-Bauer, morta in un campo di concentramento nazista. Nel film si alternano flash back del periodo nazista, con la vita attuale della protagonista che ritorna a Vienna per recuperare il quadro, che procurano grandi emozioni in sala. Peccato che la protagonista sembra ancora presa dalla parte recitata in The Queen con una pettinatura identica a quella della Regina d’Inghilterra che disorienta lo spettatore. Sempre per Berlinale Special sono stati proiettati altri due film anglosassoni 50 Sfumature di Grigio di Sam Taylor-Johnson e Selma di Ava DuVernay che non hanno convinto per niente. Il primo per la sua noiosità e il secondo per la ovvietà di come viene raccontata la vita di Martin Luther King. Ma al box office entrambi tengono ancora dopo varie settimane di permanenza.
 All’interno della Rassegna  Berlinale Special è stata una buona scelta proporre il documentario The Look of Silence, già vincitore a Cannes, in omaggio al regista membro della Giuria Jousha Oppenheimer al quale è andato il premio PEACE FILM PRIZE. Invece a Torneranno i Prati di Ermanno Olmi non è andato il dovuto riconoscimento.

L’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura ed il Premio della Giuria Ecumenicale è andato a The Pearl Button di Patrizio Guzman dal sapore documentaristico e di denuncia delle nefandezze compiute in Cile dai conquistatori ispanici e dalla dittatura del dopo Allende. 
 
Meritava di più la sceneggiatura del visionario Gone With the Bullets di Jiang Wen ambientato a Shangai negli anni venti del secolo scorso e basato su una storia vera. Intreccio fra allegoria sulla politica e storie d’amore con omaggio alla nascita del cinema in Cina.




L’Orso d’Argento per l’eccellente contributo nelle categorie delle riprese, montaggio, musica, costumi e scenografia è andato ex-equo per le riprese a Victoria del tedesco Sebastian Schipper e a Under Eletric Clouds del russo  Alexey German Jr. Del secondo non si può dire che il premio lo abbia meritato. Si tratta di cinema sperimentale con lo sguardo sulla Russia alle prese con la crisi mondiale. L’altro film tedesco in concorso Als wir träumten (As We Were Dreaming) di Andreas Dresen riprende il tema della riunificazione delle due Germanie dopo il crollo del Muro di Berlino. Al di là del tema specifico c’è lo sguardo disincantato di quelli che all’epoca erano dei giovani pieni di sogni e che oggi si ritrovano ai margini della società. Questo è un tema molto sentito dai cineasti tedeschi. Anche all’ultimo Festival di Roma è passato un altro film tedesco simile nei contenuti: We are Young, We are Strong di Burhan Qurbani. Non solo parla dello stesso tema ma è interpretato dallo stesso giovane attore Joel Basman. A noi è piaciuto quest’ultimo per il maggior coinvolgimento dello spettatore.
Per dovere di cronaca menzioniamo infine l’ultimo film dissacratore di Peter Greenaway sul famoso cineasta russo Eisenstein che tanto ha contribuito allo sviluppo del linguaggio cinematografico. Lo stesso Eisenstein si rivolterebbe nella tomba alla vista di Eisenstein in Guanajuato. Il film dalle velleità biografiche, riesce a mettere in scena una parodia noiosa del viaggio del regista russo in Messico per la preparazione del documentario rimasto incompiuto Que Viva Mexico!
In ultimo per la Rassegna Classic segnaliamo volentieri la versione restaurata dello struggente film Varietè di Dupont con la bellissima musica dei rulli di tamburo dal vivo dei The Tiger Lillies. Già nel 1925 gli elementi filmici per la buona riuscita della storia erano stati sviscerati come ad esempio la figura della donna fatale che distrugge l’armonia familiare e la vita del protagonista.


Nella sezione Panorama e Panorama DOC il film di apertura. Sangue Azul (Sangue Blu) del brasiliano Lirio Ferreira, il quale parla dell’incesto tra fratello e sorella, è discutibile. Mentre è stato interessante Une jeunesse allemande (A German Youth), storia recente, rivisitata con materiale dell’epoca, dell’autunno tedesco del 1977 ad opera delle RAF i cui membri erano giovani cineasti espulsi dalla scuola di cinema. Il Premio del Pubblico della selezione Panorama è andato al brasiliano Que
Horas Ela Volta? di Anna Muylaert. Il film ha ricevuto pure il premio CICAE ART CINEMA. Storia del rapporto squilibrato tra Val e i componenti della famiglia dove lei lavora come bambinaia accudendo all’adolescente Fabinho. Il malsano equilibrio è rotto dall’arrivo della figlia Jessica. Il film è stato omaggiato nella meravigliosa sala dello Zoo Palast di Berlino da una stand ovation da parte del pubblico. La protagonista Regina Case e sua figlia, che interpreta se stessa, è una delle attrici carioca più famose in televisione in Brasile. Nella stessa selezione il film 600 Millas dell’esordiente Gabriel
Ripstein ha ricevuto il Premio Opera Prima tra le 18 in concorso grazie alla interpretazione di un eccezionale Tim Roth, coadiuvato da un  giovane attore non professionista. Il road movie, attraverso un viaggio di 600 miglia, narra il rapporto che si instaura tra un giovane trafficante d’armi messicano e l'agente federale che lo bracca con l'inevitabile finale tragico.
Invece Al-Hob wa Al-Sariqa wa Mashakel Ukhra (Amore, Furto e altre conseguenze) del palestinese Muayad Alayan non è stato preso in considerazione dalla Giuria. Film in bianco e nero sulla storia grottesca di Mousa un palestinese che commercia auto rubate nei territori occupati. Peccato che l’auto rubata contenga un carico umano che interessa sia l’intelligence israeliana sia i terroristi palestinesi. Parodia dei disagi di una guerra che non appartiene nemmeno ai ladri d’auto.
Nemmeno al doc Iraqi Odyssey del cineasta Samir è andato alcun riconoscimento, sebbene lo meritasse. Una maratona di 163’ sulla travagliata storia della famiglia del regista e dell’Iraq d’oggi. Infatti sebbene non ci siano statistiche precise, si stima che attualmente 4-5.000.000 di iracheni vive al di fuori della Nazione Irachena. Il pluripremiato regista Samir è nato a Baghdad ed ha vissuto in Svizzera, fin da quando era bambino, mentre i membri della sua numerosa famiglia sono sparsi in tutto il mondo - Abu Dhabi, Auckland, Sydney, Los Angeles, Buffalo, Londra, Parigi, Zurigo, e Mosca - con solo pochi di loro sono ancora residenti in Iraq. Raccontando la storia della sua famiglia e del suo sradicamento, Samir racconta come i sogni di tanti iracheni, di voler costruire una società moderna subito dopo l'indipendenza ottenuta nel 1950, sono stati brutalmente infranti in mezzo secolo di storia.
E' stato pure commovente l’omaggio di Christian Braad Thomsen al compianto amico e famosissimo cineasta tedesco Fassbinder con il doc Fassbinder – To Love without Demands. Una intervista- testamento morale del regista morto a soli 37 anni nel 1982. Ci si chiede come mai a questo film insieme all’altro doc Censored Voices del coraggioso cineasta israeliano Mor Loushy non sia andato nessun riconoscimento. Il film  mostra le interviste a soldati reduci secretate dai servizi segreti israeliani ai tempi della guerra dei 6 giorni. Per fortuna quest’ultimo uscirà nelle sale. Invece la regista esordiente Laura Bispuri con Vergine giurata, tratto dal romanzo di Elvira Dones, interpretata da Alba Rohrwacher, non è riuscita ad emergere.
Per quanto riguarda la sezione Forum, dove erano presenti cineasti dei cinque continenti, Histoire de Judas di Rabah Ameur-Zaïmeche, storia senza tempo della amicizia che legava Giuda Iscariota a Gesù, ha ricevuto il Premio della Giuria Ecumenicale.
A Il gesto delle mani di Francesco Clerici è andato il Premio FIPRESCI. E’ un doc sul lavoro di oltre cento anni di una fonderia milanese di opere d’arte. Ecco la motivazione della Giuria:
Vediamo, sentiamo, seguiamo e sentiamo una sinfonia: editing e suono formano un flusso unico, imitando il lavoro di un processo unico. Immagini in bianco e nero di un tempo si fondono dentro e fuori con la terracotta, tra cinquanta sfumature di rosso e marrone, il tutto per finire immortalato nel bronzo, portandoci nel cuore e nell’anima di una fonderia storica di Milano. I rimanenti quattro film su ben 43 film selezionati riguardano storie molto particolari ma nello stesso tempo universali quali sono i rapporti familiari spesso disturbati. Tra un ragazzo padre e la figlia adolescente nel caso di Ben Zaken dell’israeliano Efrat Corem, tra un padre assente e la figlia nel caso di Nefesim kesilene kadar (Until I Lose My Breath) del turco Emine Emel Balcı, oppure tra due coniugi nel caso di Chaiki (I Gabbiani) della russa Ella Manzheeva. Diverso invece il film Madare ghalb atomi (Atom Heart Mother) dell’iraniano Ali Ahmadzadeh che racconta le contraddizioni della attuale società iraniana. E’ del tutto evidente che dietro una storia di due giovani amiche si cela invece il dramma femminile iraniano. Non è stato premiato, invece il film finanziato dall’ultima Biennale College di Venezia. Si tratta di H. degli esordienti Rania Attieh e Daniel Garcia. H. sta per Helen. Anzi le Helen sono due. Due vite al femminile raccontate con il notevole e imprescindibile apporto del sonoro.
In ultimo l’Orso di Cristallo assegnato dalla Giuria popolare della Selezione autonoma Generation Kplus è andato al delicato film My Skinny Sister della svedese Sanna Lenken. Rapporto di due sorelle in età adolescenziale e preadolescenziale con tutte le conseguenze del caso con finale a sorpresa. Lo stesso film ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria Internazionale Generation Kplus. Nella stessa selezione c’era anche il film già passato a Venezia Short Skin di Duccio Chiarini che però no ha ricevuto premi.
Al film di inaugurazione Prins (Prince), storia di un “principino” moderno dell’olandese Sam de Jong è andata la Menzione Speciale della Giuria popolare di Generation 14plus.
 
Per noi “Il giro del Mondo in 11 giorni” è stata una emozionante avventura cinefila. Infatti la Berlinale si conferma un punto fermo dell’Industria Cinematografica Internazionale insieme a Cannes e alla Mostra di Venezia. Vedremo prossimamente quali sorprese ci riservano gli altri due Festival.
 



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