Il premio
della Giuria Ecumenica al film di Moretti e il premio della Semaine de la
Critique per la categoria dei corti al solito Fulvio Risuleo che per la
seconda volta consecutiva vince con il suo ultimo corto Varicella. Ma
andiamo con ordine.
La nutrita pattuglia francese ha portato a casa la Palma
d’Oro con Dheepan di J. Audiard, sfruttando il tema attualissimo delle
migrazioni all’Europa dai paesi in guerra. Tema di per sé presente in molte
produzioni, come ad esempio in Mediterranea dell’italiano Jonas Carpignano
in competizione per la Semaine de la Critique, ma trattato in maniera inusuale
dal cineasta francese. Infatti Dheepan è un soldato Tamil che per sfuggire alla
guerra in Sri Lanka insieme alla giovane Yalini ed alla piccola orfana
Illayaaal si fingono essere i componenti di una famiglia. Viene fuori una
storia di scontri all’interno del nucleo familiare piuttosto che con il paese
di accoglienza come ci si aspetterebbe. Ecco perché ha convinto la Giuria sebbene
ci fosse qualche pecca nel linguaggio cinematografico con l’utilizzo di scene
d’azione non del tutto appropriate al tema. Per me avrebbe dovuto vincere la Palma
d’Oro l’esordiente ungherese Lazslo Nemes con SAUL FIA. Anche
in questo caso un tema ricorrente nella filmografia mondiale sulla Shoa. Il
soggetto viene trattato però con un linguaggio cinematografico di altissimo
livello, sia per la parte visuale che per la parte del sonoro in un crescendo
di coinvolgimento dello spettatore nell’inferno disumano di un campo di
concentramento nazista fino all’ultima immagine simbolo dell’atroce destino di
sei milioni di ebrei. Gli strettissimi primi piani di Saul, al quale non
importa né fuggire né documentare all’esterno quello che succede nel campo,
bensì salvare la sua umanità depredata dall’orrore nazista, inondano il cuore
dello spettatore. Quindi la Giuria non ha potuto fare a meno di assegnargli il Grand
Prix 2015. Il premio per la miglior regia assegnato al taiwanese Hou
Hsiao Hsien con The Assassin, poteva essere preteso dal maestro cinese
Jia Zhang-Ke con il suo Mountains May Depart. In realtà
nell’ambito della Quinzaine des Realisateurs il Maestro ha ricevuto
l’onorificenza della Carrosse d’Or. Il film è l’epopea di due
generazioni di cinesi emigrati in Australia con il loro fardello di amori, speranze
e disillusioni. La protagonista Tao, interpretata da una affascinante Zhao
Tao, poteva pure aspirare alla Palma come migliore attrice. Questo premio
come è noto è andato invece ex equo a Emmanuelle Bercot, attrice e
regista del film di apertura La tete Haute, per la sua interpretazione in Mon
Roi dell’altro francese Maiwenn ed a Rooney Mara, coprotagonista nel
film Carol dell’americano Todd HAynes. Si direbbe che sia stata
raggiunta una soluzione di compromesso tra i componenti della Giuria.
A
proposito dei cineasti asiatici il terzo film in concorso Umimachy Diary
(Our Little Sister) del giapponese Hirozaku Kore-Eda è stato messo da
parte sebbene sia un delicatissimo film sui rapporti parentali. Lo spettatore
resta affascinato dalla serenità che il film gli trasmette, ma anche stupito
dalle innumerevoli scene conviviali a tavola dove le quattro sorelle si
confrontano. Sempre sul fronte orientale al citato The Assassin sarebbe
dovuto andare il premio per la sceneggiatura piuttosto che per la miglior regia.
Il premio per la miglior sceneggiatura è andato invece con stupore al film
Chronic del messicano Michel Franco. In realtà sebbene la storia sia
inusuale, lo svolgimento risulta prevedibile soprattutto nel tragico finale che
il pubblico avverte in anticipo. La marcia in più di questo film è dovuta senza
dubbio all’interpretazione di Tim Roth, nei panni dell’imperscrutabile
infermiere, miglior attore della competizione. Invece la giuria ha preferito
come miglior attore l’interpretazione di Vincent Lindon in La Loi du
Marchè. La scelta della Giuria è stata determinata dal fatto che è un film
attualissimo sul brutale mercato del lavoro e le sue conseguenze morali. La
Giuria ha avuto il buon senso di scartare il film della Donzelli, che è
perfettino ma insipido con finale scontato come il film del messicano Michel
Franco prima citato. Infine il premio della Giuria è stato assegnato al geniale
greco Yorgos Lanthimos con The Lobster che ha attinto a piene
mani da La 10ma vittima (1965) di Elio Petri. Evitiamo le polemiche ma
possibile che nessuno dei tre italiani era all’altezza?
Nemmeno lo spericolato Garrone
con il suo fantasy? Tra i film scartati dalla giuria vale la pena menzionare Valley
of Love, ultimo dei film francesi in
gara, di Guillame Nicloux. L’interpretazione dei due attori francesi
d’eccezione Depardieu e la Huppert, i quali possono permettersi
di interpretare se stessi, è superba. Peccato che sono stati accolti con tanti
pregiudizi. Ma vi assicuro che sono stati 90’ spesi bene. Anche nella sessione
a latere Un Certain Regard non è andata bene per l’unico italiano in
corsa Roberto Minervini con The Other side. Viaggio nella America
dei derelitti. Il film doc è esplosivo e qualcuno dice che giudica i
protagonisti e per questo non ha convinto la Giuria presieduta da Isabella
Rossellini. La Giuria ha preferito il doc Islandese HRUTAR di
Hakonarson dai risvolti noir sui pastori dell’isola europea più a Nord e dei
loro greggi di montoni decimati da una malattia endemica. I cineasti islandesi
non sono alla prima esperienza al riguardo. Nel 2013 infatti un altro cineasta
si cimentò sul rapporto tra l’uomo e i cavallini tipici dell’Islanda con Of
Horses and Men. Sempre doc dai risvolti noir. Al rumeno Corneliu
Porumboiu con The Treasure è andato il premio quale Miglior Talento.
La sceneggiatura del film è fuori degli schemi e affascina, ma è ripetitiva.
Anche il filippino Brillante Mendoza con Taklub aveva tutte le
carte in regola per ricevere un premio, sia per il tema che per il suo
svolgimento nel linguaggio cinematografico. Il film affronta il tema delle vicissitudini
da sopportare da parte della popolazione della città filippina di Tacloban
colpita dal tifone Hayan. Taklub si è dovuto accontentare del premio della
Giuria Ecumenicale. Invece il premio della Giuria Un Certain Regard è andato al
croato Dalbor Matanic con Zvidan. Tre storie d’amore proibiti
lungo l’arco di trenta anni dal 1991 al 2011 in due villaggi dei Balcani che
hanno in comune una lunga storia di intrecci interetnici. Anche il giapponese Kyoshi
Kurosawa, premiato nel 2013 al Festival di Roma e più volte presente a
Cannes, ha ricevuto con Journey To The Shore il premio per la miglior
regia. Il film giapponese narra la storia della riapparizione del marito di
Mizuki (Yusuke) dato per disperso in un incidente in mare. All’indiano Neeraj
Ghaywan con Masaan è andato il premio quale futura promessa delcinema
ex equo con Nahid della iraniana Ida Panahandeh. Il film indiano
affronta il tema attualissimo delle caste e dell’inferiorità della donna nella
società indiana con una bella storia d’amore. Rispetto ad altri film indiani
allo spettatore è evitato il frapporsi nella storia di cantanti famosi come
generalmente avviene. A Masaan è andato anche il Premio FIPRESCI. Alla
pari il film iraniano Nahid tratta anch’esso della diseguaglianza di genere questa
volta in Iran. Infine menzioniamo per la Semaine della Critique il premio
assegnato all’argentino Santiago Mitre con il suo La Patota (Pauline).
Storia al femminile di rinunce per mantenere fede alle proprie convinzioni. Il
film è stato pure premiato con il premio della critica FIPRESCI. La stessa
giuria ha premiato l’esordiente ungherese Laszlo Nemes con il poetico SAUL FIA
di cui abbiamo ampiamente prima parlato. Per concludere accenniamo a come i
nostri tre eroi reduci da Cannes sono stati accolti in patria. Dalla loro
uscita nelle sale, 16 aprile per Moretti, 14 maggio per Garrone e 20 maggio per
Sorrentino, i tre film non sono ancora riusciti a rifarsi delle spese sostenute,
attestandosi sui tre milioni di euro di incassi circa di Moretti e Sorrentino e
i due milioni circa di incassi per Garrone. Questo è un campanello di allarme
che deve fare riflettere su come è prioritario riorganizzare il settore audiovisivo
facendo sistema tra le varie componenti come già avviene oltre alpe. La Mostra
del Cinema di Venezia è troppo a ridosso per poterci redimere e quindi possiamo
solo augurarci che vada meglio per noi.
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