Con questo suo penultimo
lavoro il regista, sceneggiatore ed attore giapponese Nobuhiro Yamashita ci
presenta la storia dell’incontro tra Shiraiwa e Satoshi, entrambi con alle
spalle il loro passato.
Shiraiwa è un
quarantenne fresco di divorzio. In attesa di trovare un nuovo impiego si
trasferisce al suo paese natale ed inizia una scuola di falegnameria. Una sera,
in un locale, incontra la bella e stravagante Satoshi, una cameriera che sa
imitare alla perfezione i versi degli uccelli e che, tuttavia, dimostra anche
qualche segno di squilibrio mentale. Non sarà facile per i due venirsi incontro
ed imparare a conoscersi.
Basterebbero, in
realtà, solo i due protagonisti come unici attori sullo schermo, affinché questo
ultimo lavoro di Yamashita funzioni. Perché, di fatto, in tutta la loro
stranezza sono entrambi talmente perfetti e magnetici da catalizzare
immediatamente su di loro l’attenzione. Shiraiwa ha un passato difficile: la
sua ex moglie ha cercato di soffocare la loro figlioletta di pochi mesi. E se
fosse lui stesso il responsabile della follia della donna? A comprendere ciò
può aiutarlo soltanto Satoshi, considerata da tutti eccessivamente sopra le
righe, quasi al limite della pazzia. Un uccello prigioniero all’interno di una
gabbia costruita dalle più grette convenzioni sociali, alle quali non ha mai
voluto adattarsi. È per questo, forse, che solo immedesimandosi nei volatili
può immaginare di riuscire a volare lontano dal posto in cui vive. Probabilmente,
però, per riuscire a spiccare davvero il volo oltre le barriere della gabbia in
cui si trova, avrà bisogno di un compagno, al quale, magari, lei stessa potrà
insegnare a volare.
Fin da subito
Yamashita, nel raccontarci questi due singolari personaggi,
lavora di
sottrazione: non vi è spazio – se non quando strettamente richiesto – per
dialoghi superflui o musiche ingombranti. Ciò che viene detto ci dà solo una
chiave per interpretare il tutto. Le azioni dei due protagonisti sono, a tal
proposito, decisamente significative: mentre Satoshi cerca di abbattere le
barriere che la circondano liberando tutti gli uccelli dalle gabbie nel luna
park in cui lavora, Shiraiwa, dal canto suo, non fa che costruire una sorta di
“gabbia” in legno presso la scuola che sta frequentando. Solo con il tempo – e
con un lungo, difficile e spesso doloroso percorso interiore, i due riusciranno
finalmente a sincronizzare le loro azioni puntando verso uno stesso obiettivo.
Nel frattempo
saranno scene di grande poesia e di grande potenza visiva a raccontarci passo
passo la loro storia. Di notevole bellezza, a tal proposito, il momento in cui
i due ragazzi, di notte, dopo aver raccolto nel luna park deserto una grande
quantità di piume di uccelli, le lasciano volare via una dopo l’altra mentre
viaggiano in scooter. Momenti che potrebbero essere definiti quasi al limite
del surreale che solo uno sguardo attento come quello di Yamashita – il quale,
a sua volta, sembra non disdegnare affatto eventuali suggestioni dalla
cinematografia del collega Takeshi Kitano – riesce a catturare così bene.
L’unica pecca –
se così può essere definita – è, in realtà, una seconda parte eccessivamente
telefonata che va a terminare in un finale pericolosamente retorico. Ma, si sa,
per la piega che il lungometraggio ha preso fin dall’inizio, aspettarsi un
esito del genere è quasi scontato. Dato il regalo che ci ha fatto con questo
suo lavoro, però, scivoloni del genere li si perdona facilmente ad un cineasta
come Nobuhiro Yamashita. Il quale, giusto per restare in tema, malgrado la
giovane età, il volo lo ha già spiccato da diversi anni.
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