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Siamo
a Tel Aviv. Laila è un’affascinante avvocato, sicura di sé e molto ammirata.
Salma, dal canto suo, ha una personalità molto più docile, lavora come barista
e saltuariamente come deejay. Nour, infine, è la più fragile di tutte.
Estremamente religiosa (soprattutto in seguito all’educazione ricevuta), è
fidanzata e prossima alle nozze con un uomo considerato dalla propria famiglia
“un buon partito”. Solo nel momento in cui andrà a vivere con Laila e Salma
capirà cosa vuol dire davvero essere felici e, soprattutto, essere sé stesse.
Se si pensa al titolo
originale del lungometraggio –In Between – si riesce ad inquadrare maggiormente
la condizione in cui le tre ragazze si trovano. Sono donne, loro, che hanno già
spiccato quel salto verso la libertà e l’affermazione di sé (cosa naturale
all’interno della cultura occidentale), ma che, tuttavia, non riescono, loro
malgrado, a superare del tutto la loro stessa cultura, ancora estremamente
tradizionale. Il coesistere di questi due mondi, l’essere in bilico tra essi
viene reso particolarmente bene dalla giovane regista, la quale, dal canto suo,
pur dando al lungometraggio un andamento decisamente classico e lineare, parte
inizialmente subito in quarta – grazie anche ad un particolare uso della musica
(ad alto volume) e del montaggio (con tagli netti, quasi improvvisi) – facendo
sì che il suo lavoro sia un lungometraggio arrabbiato, “urlato”, che sa il
fatto suo e che, analogamente alle sue protagoniste, reclama a gran voce il
diritto di “fare la differenza”, di distinguersi all’interno della
cinematografia del proprio paese, sia per il tema trattato, sia per il fatto di
essere stato girato da una donna (se si pensa a Ronit Elkabetz, a Rama Burstein
e a poche altre, non sono molte, di fatto, le registe donne in Israele). E, di fatto,
malgrado un (a volte fin troppo) forte attaccamento alla cinematografia
occidentale, dovuto, probabilmente, in parte ai gusti personali, in parte alla
scarsa esperienza dietro la macchina da presa, questo lavoro della Hamoud in
qualche modo la differenza la fa. Se non altro per la genuinità della regista
stessa e, soprattutto, per le brave interpreti che, malgrado una
caratterizzazione forse un po’ troppo stereotipata e non del tutto naturale dei
loro personaggi, riescono a rendere, di fatto, le loro Laila, Salma e Nour
fortemente empatiche e fin da subito in sintonia con lo spettatore.
La creta ce l’abbiamo,
ora pensiamo a modellare la scultura. E, chissà, magari prima di quanto si
pensi, il cinema di Maysaloun Hamoud raggiungerà finalmente una propria,
necessaria maturità, in modo da spiccare il volo una
volta per tutte.
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