Dopo l’inaugurazione musicale con
DJANGO le sorprese nel fine settimana vengono dall’Est Europeo e dall’America
Latina e la deliziosa interpretazione di Geoffrey Rush.
(da Berlino
Luigi Noera con la collaborazione di Marina Pavido - Le foto sono pubblicate
per gentile concessione della Berlinale) Questo fine
settimana ha visto passare tanti film attesi tutti con il denominatore comune
di raccontare storie personali che in realtà volgono lo sguardo alla nostra
umanità in bilico perenne senza certezze, soprattutto in questo periodo di
globalizzazione anche dei rapporti umani. Ma andiamo con ordine. Abbiamo molto
amato Final Portrait di Stanley Tucci sia per l’interpretazione
di Geoffrey
Rush ei panni di un artista italiano Giacometti con le sue debolezze, ma anche
con il suo talento. Rush è entrato nel personaggio aiutato anche dalla potenza
delle riprese che inpersonano il suo occhio attento di artista. Quelli che
potevano essere gli outsider dei film in Concorso
non hanno emozionato, piuttosto è stata una scoperta l’ungherese Ildikó
Enyedi con il suo particolarissimo film Teströl
és lélekröl(On Body and Soul). Pellicola sui rapporti umani trasferiti in maniera onirica agli animali di cui l’uomo si ciba, con qualche spunto di thriller. Viene in mente che il sole è uguale per tutti gli esseri viventi. Nonostante lo sforzo registico le emozioni però non sono così intense. Altro film sui rapporti amorosi è stato proposto dal cileno Sebastián Lelio con Una mujer fantástica (A Fantastic Woman), dove sullo sfondo di un thriller si dipanano i diritti umani. Invece l’attesa opera della regista polacca Agnieszka Holland in una cooperazione internazionale (Polonia / Germania / Czech Republic / Sweden / Slovakian Republic) con Pokot (Spoor) non convince. Eppure i mezzi linguistici messi a disposizione dalla cineasta sono tanti che confondono lo spettatore e costringono lo script ha spiegare il finale banale. La storia si perde tra elementi animalisti e anticlericali con un improbabile lieto fine da delitto perfetto. Il ritmo è sostenuto dai mille particolari messi in campo in maniera ossessiva come lo è l’anziana protagonista del thriller fantasy. Il primo film americano Oren Moverman è The Dinner. Storia di fratelli vista mille volte. Il primo è uno sfigato non sempre ligio ai principi morali, l’altro è un disinvolto uomo di successo in carriera (questa volta politica) con un Richard Gere decisamente in declino. A questo aggiungiamo la storia parallella dei figli abbandonati a se stessi ed il gioco è fatto. Ci chiediamo come mai sia stato selezionato in competizione. In questo fine settimana pure due Opere Prime.
L’austriaco Josef Hader ci diverte con il suo Wilde Maus(Wild Mouse) offrendo un panorama dell’animo umano in situazioni di stress come può essere la perdita del lavoro. Soprattutto se si tratta di un lavoro dove la fortuna artistica degli altri è nelle tue mani. Si stiamo parlando di critica in questo caso musicale. Eppure alla fine rimane poco del film se non un amaro in bocca. Dobbiamo dire che nel panorama dei registi mitteleuropei il giovane esce fuori dai ranghi facendo fare prodezze agli attori in uno stentato italiano. Che sia un imitatore ddel nostro Checco Zalone? L’altra opera prima è del francese Alain Gomis che con una produzione multietnica (Francia / Senegal / Belgio / Germania / Lebanon) ci presenta una madre congolese Félicité alla prese con la salvezza del giovane figlio. Abbiamo sperato senza risultato che il film prendesse una sua strada, invece ci siamo dovuti accontentare delle belle musiche etniche africane affidate alla voce calda e disperata della protagonista.
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inaugurale The Wound di John Trengove che parla di riti tribali ed iniziazione all’età adulta dei giovani africani in un mondo moderno con tutte le contraddizioni che comporta. Il film storico sui colonizzatori brasiliani attraverso la saga di una famiglia di farmers: Vazante di Daniela Thomas. Girato in bianco e nero ci riporta indietro nel tempo ma con le stesse problematiche attuali: la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Infine dalla Cina un film piccolo su una giovane: Ciao Ciao di Song Chuan. Il tema è noto: l’attrazione verso il progresso nelle grandi città nei confronti della vita semplice di campagna in una storia d’amore e di sesso. Per la sezione Panorama Dokumente vi proponiamo il film d’apertura Belinda di Marie Dumora. Un film intimo di due sorelle con alle spalle una famiglia d’origine difficile che nonostante tutto riescono a trovare una loro strada. Un film che da speranza ai tanti bambini, adolescenti che poi diventano adulti tra mille difficoltà. Gli altri tre affrontano temi molto vari ma anche inediti. Ci ha colpito il doc di Andrea Luka Zimmerman che con Erase and Forget propone la vita di un veterano americano della guerra coreana fautore delle cosiddette „Forze Speciali“ in America. Una sorta di forze paramiltari che imbarazzano. Diversa la storia raccontata da Catherine Gund e Daresha Kyi in Chavela, biografia della cantante messicana che per prima fece outcoming (siamo negli anni ‘50/’60) e che tanto successo ebbe anche in Europa lanciata dal regista Spagnolo Almadovar. Per restare nel tema infine il volto omosessuale della Berlino degli anni ’70 e ’80 raccontata da celebri artisti di moda: Mein wunderbares West-Berlin (My Wonderful West Berlin) di Jochen Hick. Terminiamo questa carrellata con tre film presentati nella sezione Forum. Il primo è un film al femminile: Barrage di Laura Schroeder con Isabel Hupert. Segue il film sperimentale documentario e per questo ostico El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki dove si alternano paesaggi inusuali della Terra con brevi poesie. Vi ricordiamo anche Tigmi n Igren (House in the Fields) di Tala Hadi che ha emozionato Marina Pavido. Con una troupe ridotta quasi all’osso, la regista ha seguito la vita di due sorelle, Fatima e
Khadija, scandita attraverso le stagioni in un piccolo villaggio pedemontano dell’Alto Atlante, le quali, da sempre legatissime, si trovano a dover affrontare – vivendo una vita tra il passato e il presente, tra tradizione e cambiamento – il non facile passaggio dall’infanzia all’età adulta in un tripudio di colori con canti e musiche invadono lo schermo. L’imminente matrimonio di Fatima sarà l’evento che segnerà definitivamente la vita delle due ragazzine. Dato l’approccio della regista, salvo qualche breve intervista, si è limitata a filmare la realtà così com’è tranne alcuni che risultano staccarsi dal resto del documentario, in quanto risultanti eccessivamente costruiti. È però lo sguardo attento e affettuoso della regista a far sì che House in the field sia un piccolo gioiello di una cinematografia che difficilmente verrà distribuito in Italia, a meno che lo staff di MedFilm non lo catturi. In questo fine settimana nell’ambito dei Talents due Master Class seguitissime con il Presidente della Giuria Internazionale regista e sceneggiatore Paul Verhoeven e l’attrice americana Maggie Gyllenhaal e la seconda
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