![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyiqktsa7hp7H6olt9JQYJzvXpsIcB4ryg1qj5ro1HfaFgtQw3gOVELZNvx-phPwGEaWOqaisyTvT6bs-QtdBBiAK3VTPZ3ZSdgBg6vs0T6C2xrNXSQprZhs6YZWIIFTuGdqs_D2sNnEHL/s320/Loc_Asia_.jpg)
Interessante
il film doc cinese Dejide su una famiglia di pastori mongoli e il loro rapporto
con gli animali da cui traggono sostentamento. I paesaggi mozzafiato del Nord
Est della Mongolia innevato dove anche i Suv hanno bisogno dell’apripista per
potere raggiungere tutte le comunità. Il contrasto tra il carro trainato dal
bue per trasportare i blocchi di ghiaccio e i moderni Suv è immediato.
Documentario intimista che si svolge
all’interno del rifugio della famiglia di pastori fatto con le pelli delle pecore e con una grande stufa al centro per sopravvivere alle rigidissime temperature esterne. Al tema affrontato della modernità che avanza e distrugge le tradizioni ultracentenarie della famiglia della giovane Dejide sfugge però, o quantomeno è sfumato nello sfondo, quello drammatico della distruzione del territorio a causa dello sfruttamento delle miniere di carbone del sottosuolo. Forse perché abbiamo visto e abbiamo fatto i dovuti raffronti con il più potente doc Beixi moshuo (Behemoth) di Zhao Liang. Questo doc passato a Venezia e a buon ragione amato dal pubblico della Mostra. Al regista Zhao Liang è andato il premio collaterale SIGNIS per la sua capacità di illuminare in maniera poetica le conseguenze dell'industrializzazione forzata che danneggiano in maniere irreparabile la vita umana, soprattutto dei poveri.
Particolarissimo
l’altro doc incentrato sulla vita di una sciamana che in Corea viene chiamata
Manshin e del rapporto del popolo Coreano, o di almeno una parte, con la
millenaria tradizione e credenza intrisa di superstizione. La proiezione è
stata preceduta dal vivo dalla performance dei balli tradizionali coreani Pansori,
letteralmente dei cantastorie, accompagnati dagli strumenti tipici coreani a corda, a fiato e a percussione.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheBBYgsCoDmYHyIsSnQMzuPFxakKRn2aon-b0hDkJv9enTVnqvFEDAKHZU4n_M0Fkbtea9_3iGJW0mK-OdXFvY-Rds-G9mDMcc317cEe0Fah6-gzF4E-D1C2bunW5mGxALSB8SkwQ4wPVg/s320/MY+LOVE.jpg)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRQ57XZaLRoGoIgjCL8wKgukLsztQ_FXdbZ_95ADCOcJQcxCLzRislu0v4F_Orx_7f333hmdp-ybUEnIOtAFwvoYoRxnI0K1pF3yYzY-juj6udV0UNmgXlQohflIaCayaxMhSgQ5QXga9V/s320/K2+AND+.+.+..jpg)
Infine il
toccante doc Sigh del turco Metin Kaya girato nel 2015 nelle miniere ove
lavorano come minatori dei bambini nonostante la loro età. Il film è stato
selezionato nella sezione documentari del Festival del film di Istanbul 2015
alla sua 34ma edizione che come è noto è stata sospesa dagli organizzatori
stessi per protesta alle censure governative.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFEe1DEifRVJe-qNRKQVN9aCoNWjSdme44OeHNbJSNMo66pqGdU_aFGY_fpspqPo6nK9yP4hEEU5Xd5Ah8KRs0re6i1AndK9-mK01ZqrfSmuxR1U8Azkhh15ZLwU5bHGiPZMftEUwsvfYf/s320/FIG_FRUIT_AND_THE_WASPS_STILL3.jpg)
Fuori
concorso One Million Steps della cineasta turca Eva Stotz sul movimento di
protesta di Piazza Gezi a ritmo del ballo di tip tap della protagonista che
assiste agli scontri violenti con la polizia.Assistiamo come il potere tiri fuori di se il peggio.
Come è ormai
tradizione dell’Asiatica anche quest’anno la sezione Jumping Frames, ovvero
corti sull’arte figurativa della danza, riserva delle piacevoli sorprese. Il
balletto di Hong Kong Ode on Korean Urn del 2011 ammalia lo spettatore con l’alternanza del
ritmo serrato dei tamburi al melodioso coro di voci bianche sullo sfondo del
balletto di giovanette in candide vesti in una distesa di urne. Altrettanto
intenso Eternal Sunshine con inquadrature intimistiche all’interno di una cella
ove si dibatte il corpo di un prigioniero. Di stile netto minimalista Body
Watch del cinese Ziv Chun che insieme alla coreagrafa Frankie Ho ha realizzato
e filmato un balletto sui rapporti tra uomo e donna in un susseguirsi di
contrappunti e fraintendimenti. Sempre dalla collaborazione, questa volta
belga, del regista Pierre Larauza e la coreografa Emmanuelle Vincent viene
fuori una metafora metropolitana di tubi che scoppiano, piastrelle che
collassano, bulldozer che ruggiscono e grattacieli che svettano ed emerge la
forza della civiltà e dello sviluppo nel corto Welcome.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8c8PoXtiIb3QhyyzO0eZ2c0BxDf8bGdRh6_mseQlRA8q8sAGI8-OFTA19SjyF2VJR2Tuhl5j4osqKl-GFIug9Jp65XsR5xNcYJof-ZMd6nPtMkzmEpS03Wz2ZU7zt-eZC0-ZXhGg-ul-1/s320/Tikkun_film_still.jpg)
Con queste
premesse il Festival ASIATICA risulta ancora una volta vivo e portavoce di film
esteticamente innovativi e di contenuti forti per far scoprire a noi
occidentali cosa succede ad Oriente.
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