Da Berlino Luigi Noera
(le foto sono pubblicate per
gentile concessione del Festival Berlinale)
Con questi numeri a
disposizione si è dovuta fare una scelta drastica. Innanzitutto tra i film
della Selezione Principale in competizione e non, e una scelta mirata
tra i titoli sia delle Selezioni Special e Classic, sia delle Sezioni
Panorama e Forum dove vengono presentati film di spessore e tendenza dai
Cinque Continenti. Purtroppo siamo stati costretti a disertare sia i Corti
che la sezione Prospettiva sul nuovo cinema tedesco. Abbiamo assistito
alla proiezione di 15 dei 23 film
in Competizione e non, di un film della selezione Special
e di uno della selezione Classic. Per un disguido purtroppo non
siamo riusciti a vedere il film tedesco Victoria premiato per il miglior
contributo tecnico. Delle sezioni Panorama, Panorama Doc e Forum
abbiamo scelto la visione di 8, 6 e 5 film rispettivamente. Infine
abbiamo voluto sbirciare nella sezione collaterale Generation K+ e
dobbiamo dire che anche con un po’ di fortuna l’unico film che abbiamo visto è
risultato il vincitore. Diciamo pure che abbiamo centrato l’obbiettivo non solo
con quasi tutti i film in Competizione, ma anche con quelli delle
sezioni Panorama e Forum. Detto questo, ecco la cronaca
commentata della 65esima Berlinale, con l’augurio se non certezza che molti di
questi film li potrete vedere anche voi nelle sale.
Innanzitutto possiamo dire
che la Berlinale si è chiusa con l'affermazione dei Paesi, dove la
democrazia non è ancora ben radicata e che invece hanno un produzione
cinematografica effervescente.
La Giuria presieduta da Darren
Aronofsky ha premiato a ragione TAXI dell’ iraniano Jafar Panahi,
che ha ricevuto l’Orso D’Oro. Il Direttore Dieter Kosslick ha
centrato l’obbiettivo volendo a tutti i costi presentarlo, anche tra mille
polemiche. Il film è stato girato con pochi mezzi a bordo di un taxi per le vie
di Teheran, dove il regista è in ostaggio. Il risultato è un manifesto dell’attuale
stato di salute del cinema iraniano con protagonisti di strada e la nipote di Panahi,
la giovanissima Hana Saiedi, che ha interpretato egregiamente se stessa
e che ha ritirato il premio per lo zio. Appena visto TAXI si è avuta la
certezza che avrebbe vinto non solo per le sue qualità estetiche ma anche
morali. A Taxi è andato pure il Premio collaterale FIPRESCI. Riportiamo
la motivazione della Giuria:
Il premio va a un film che
mostra grande coraggio personale e artistico. Si tratta di un racconto su più
livelli della vita di tutti i giorni, una esplorazione narrativa e originale
sia delle scelte umane e sia di una esistenza vincolata. Un ritratto umano e
sottile di un regista e il suo paese, un uomo e il suo ambiente e i suoi
concittadini. Soprattutto spiritoso e acuto sulla libertà di parola che
comprende la lotta di tutti gli artisti che cercano di superare le limitazioni
della realtà e di esprimere le proprie emozioni e opinioni indipendentemente
dalla censura o i divieti delle autorità.
Invece sul film El Club di
Pablo Larrain, che ha vinto l’Orso d’Argento al miglior film, c'è
da ridire sullo smaccato sbilanciamento senza spazio alla redenzione della
Chiesa. Infatti la frase finale “Dio è l’unico che sa” sembra troppa
semplicistica per liquidare la volontà di pulizia da parte dell’Ecclesia al suo
interno con l’intervento di un padre gesuita inviato per indagare.
Piuttosto il
premio lo meritava il regista esordiente Jayro Bustamante per la
drammaticità del suo Ixcanul, premiato invece con l’Orso d’Argento
Bauer Prize. . Come detto dallo stesso regista, in Guatemala il commercio
di giovanissime vite umane non è un mistero. Il film denuncia le terribili
conseguenze dell’analfabetismo. Maria è una giovane contadina maya che vive con
la sua famiglia ai piedi del vulcano guatemalese Ixcanul e insieme ai genitori
lavora nelle piantagioni di caffè. Il mondo moderno così sognato da Maria
salverà la sua vita, ma a che prezzo! Bisogna dire che gli attori sono non
professionisti, scelti tra gli abitanti maya della zona dove si sono svolte le
riprese. L’Orso d’Argento per il miglior film, è stato assegnato invece
a El Club.
Il Premio per la Miglior Regia è andato al rumeno Radu
Jude con Aferim! La storia è
ambientata nella Vallacchia ottocentesca ma medievale. In quei territori sotto
il domino ottomano esisteva ancora la schiavitù. Con stile mutuato dal western
viene raccontata la caccia da parte di un poliziotto ad uno schiavo zingaro
colpevole di adulterio con la moglie del suo padrone. Non c’è umanità nei
personaggi della storia e il film dal ridicolo sfocierà in un finale
scioccante. Ex equo con Aferim! il film Body della regista
polacca Malgorzata Szumowska. Il rapporto della giovane Olga con il
proprio corpo attraverso il suo sguardo anoressico, nel rapporto con il padre
giudice, abituato a visionare scene di crimine, e con la terapista Anna. Ognuno
dei tre coprotagonisti vede la propria fisicità in maniera diversa. I due film
però non hanno convinto sotto il profilo della regia che lo meritava invece El
Club. Anche 45 Years di Andrew Haigh è stato premiato. Una
anziana coppia entra in crisi alla soglia del festeggiamento dei quarantacinque
anni di unione. I due protagonisti di questa inglesissima storia premiati come
migliori attori sono la sempreverde Charlotte Rampling e il collaudato Tom
Courtenay.
Bisogna dire che la migliore attrice invece è stata Juliette
Binoche la quale ha dato il meglio di se nel film di apertura della
Berlinale Nobody Wants the Night della spagnola Isabel Coixet. Siamo
nel 1908, e una giovane facoltosa newyorkese si avventura nello
sterminato territorio del Polo Nord alla ricerca del marito esploratore. Invece
incontra una donna eskimese che si rivelerà sua rivale in amore. Con stile
asciutto viene raccontato l’evolversi solidale, fino al sacrificio, del
rapporto tra due donne profondamente diverse tra loro per nascita e cultura, ma
unite dall’amore per lo stesso uomo. Come migliore attore andava premiato Alfredo
Castro, uno dei protagonisti di El Club nella parte di Vidal, prete
spretato per i suoi trascorsi non proprio limpidi.
I film Knight of Cups
di Terrence Malick, Queen of the Desert di Werner Herzog ed Every
Thingh Will Be Fine di Wim Wenders, quest’ultimo fuori concorso, molti
attesi dal pubblico della Berlinale, vuoi per i nomi blasonati sia dei registi
che dei protagonisti, hanno deluso la platea. La loro comune caratteristica è
il narcisismo delle star: Christian Bale e Cate Blanchett, Nicole
Kidman e James Franco e lo stesso James Franco in
compagnia di Charlotte Gainsbourg. Questi film usciranno nelle sale dove
avranno assicurato il successo. Knight of Cups è una favola sul mondo
dorato di Hollywood dove vive un disincantato Rick interpretato da un annoiato Bale.
Queen of the Desert è la vera storia di una “Lawrence d’Arabia” al
femminile dove la parte emozionale piuttosto che Nicole Kidman la
procurano i paesaggi del deserto d’Arabia. Dispiace poi per Wim
Wenders che ha diretto James Franco e Charlotte Gainsbourg in
una storia cupa e triste che si trascina per due ore alla ricerca del perdono
che non è detto che sarà dato.
Un altro film di origine anglosassone che ha
deluso è Woman in Gold di Simon Curtis. Il regista qualche anno fa aveva
avuto successo con Marilyn (My week with Marilyn).Woman in Gold
è stato inserito nella Rassegna Berlinale Special. Una storia vera e interpretato
dalla bravissima Helen Mirren nei panni di una eroina di origini
ebraiche emigrata in America per fuggire dalla Germania nazista. Maria Altman è
alle prese con i fantasmi del nazismo per riportare in America, che considera
la sua vera patria, un famosissimo dipinto di Gustav Klimt. Si tratta
appunto della “Donna in oro” il cui viso era stato prestato a Klimt dal volto
della nonna di Maria, Adele Bloch-Bauer, morta in un campo di concentramento
nazista. Nel film si alternano flash back del periodo nazista, con la vita
attuale della protagonista che ritorna a Vienna per recuperare il quadro, che
procurano grandi emozioni in sala. Peccato che la protagonista sembra ancora
presa dalla parte recitata in The Queen con una pettinatura identica a
quella della Regina d’Inghilterra che disorienta lo spettatore. Sempre per Berlinale
Special sono stati proiettati altri due film anglosassoni 50 Sfumature
di Grigio di Sam Taylor-Johnson e Selma di Ava DuVernay che non
hanno convinto per niente. Il primo per la sua noiosità e il secondo per la
ovvietà di come viene raccontata la vita di Martin Luther King. Ma al
box office entrambi tengono ancora dopo varie settimane di permanenza.
All’interno
della Rassegna Berlinale Special è stata
una buona scelta proporre il documentario The Look of Silence, già vincitore
a Cannes, in omaggio al regista membro della Giuria Jousha Oppenheimer
al quale è andato il premio PEACE FILM PRIZE. Invece a Torneranno i
Prati di Ermanno Olmi non è andato il dovuto riconoscimento.
L’Orso
d’Argento per la miglior sceneggiatura ed il Premio della Giuria
Ecumenicale è andato a The Pearl Button di Patrizio Guzman
dal sapore documentaristico e di denuncia delle nefandezze compiute in Cile dai
conquistatori ispanici e dalla dittatura del dopo Allende.
Meritava di più la
sceneggiatura del visionario Gone With the Bullets di Jiang Wen
ambientato a Shangai negli anni venti del secolo scorso e basato su una storia
vera. Intreccio fra allegoria sulla politica e storie d’amore con omaggio alla
nascita del cinema in Cina.
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L’Orso d’Argento per l’eccellente contributo
nelle categorie delle riprese, montaggio, musica, costumi e scenografia è
andato ex-equo per le riprese a Victoria del tedesco Sebastian
Schipper e a Under Eletric Clouds del russo Alexey German Jr. Del secondo non si
può dire che il premio lo abbia meritato. Si tratta di cinema sperimentale con lo
sguardo sulla Russia alle prese con la crisi mondiale. L’altro film tedesco in
concorso Als wir träumten (As We Were Dreaming) di Andreas Dresen
riprende il tema della riunificazione delle due Germanie dopo il crollo del
Muro di Berlino. Al di là del tema specifico c’è lo sguardo disincantato di
quelli che all’epoca erano dei giovani pieni di sogni e che oggi si ritrovano
ai margini della società. Questo è un tema molto sentito dai cineasti tedeschi.
Anche all’ultimo Festival di Roma è passato un altro film tedesco simile nei
contenuti: We are Young, We are Strong di Burhan Qurbani. Non
solo parla dello stesso tema ma è interpretato dallo stesso giovane attore Joel
Basman. A noi è piaciuto quest’ultimo per il maggior coinvolgimento dello
spettatore.
Per dovere di cronaca menzioniamo infine l’ultimo film dissacratore
di Peter Greenaway sul famoso cineasta russo Eisenstein che tanto
ha contribuito allo sviluppo del linguaggio cinematografico. Lo stesso Eisenstein
si rivolterebbe nella tomba alla vista di Eisenstein in Guanajuato. Il
film dalle velleità biografiche, riesce a mettere in scena una parodia noiosa
del viaggio del regista russo in Messico per la preparazione del documentario
rimasto incompiuto Que Viva Mexico!
In ultimo per la Rassegna Classic
segnaliamo volentieri la versione restaurata dello struggente film Varietè
di Dupont con la bellissima musica dei rulli di tamburo dal vivo dei The
Tiger Lillies. Già nel 1925 gli elementi filmici per la buona riuscita della
storia erano stati sviscerati come ad esempio la figura della donna fatale che
distrugge l’armonia familiare e la vita del protagonista.
Nella sezione Panorama
e Panorama DOC il film di apertura. Sangue Azul (Sangue Blu) del
brasiliano Lirio Ferreira, il quale parla dell’incesto tra fratello e
sorella, è discutibile. Mentre è stato interessante Une jeunesse allemande
(A German Youth), storia recente, rivisitata con materiale dell’epoca, dell’autunno
tedesco del 1977 ad opera delle RAF i cui membri erano giovani cineasti espulsi
dalla scuola di cinema. Il Premio del Pubblico della selezione Panorama è
andato al brasiliano Que
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZm3kzTc2fBPC7xwKKwPp3nRm6FAFcdIr05mFpu_Lpj294-JtwZHaqSmchP0ypUrdVvNRU7hPeIF0bpvc9g3v6Fz2-yXAFaEXn58TXLD0EcJcfhzAWcKvGO2_wpnd9nj-B-xG1hd_6EXAr/s1600/P+Que++Horas+.+.+..jpg)
Horas Ela Volta? di Anna Muylaert. Il
film ha ricevuto pure il premio CICAE ART CINEMA. Storia del rapporto
squilibrato tra Val e i componenti della famiglia dove lei lavora come
bambinaia accudendo all’adolescente Fabinho. Il malsano equilibrio è rotto
dall’arrivo della figlia Jessica. Il film è stato omaggiato nella meravigliosa
sala dello Zoo Palast di Berlino da una stand ovation da parte del
pubblico. La protagonista Regina Case e sua figlia, che interpreta se
stessa, è una delle attrici carioca più famose in televisione in Brasile.
Nella stessa selezione il film 600 Millas dell’esordiente Gabriel
Ripstein ha ricevuto il Premio Opera Prima tra le 18 in concorso grazie
alla interpretazione di un eccezionale Tim Roth, coadiuvato da
un giovane attore non professionista. Il
road movie, attraverso un viaggio di 600 miglia, narra il rapporto che si
instaura tra un giovane trafficante d’armi messicano e l'agente federale che lo
bracca con l'inevitabile finale tragico.
Invece Al-Hob wa Al-Sariqa wa
Mashakel Ukhra (Amore, Furto e altre conseguenze) del palestinese Muayad
Alayan non è stato preso in considerazione dalla Giuria. Film in bianco e
nero sulla storia grottesca di Mousa un palestinese che commercia auto rubate nei
territori occupati. Peccato che l’auto rubata contenga un carico umano che
interessa sia l’intelligence israeliana sia i terroristi palestinesi. Parodia
dei disagi di una guerra che non appartiene nemmeno ai ladri d’auto.
Nemmeno al
doc Iraqi Odyssey del cineasta Samir è andato alcun riconoscimento,
sebbene lo meritasse. Una maratona di 163’ sulla travagliata storia della
famiglia del regista e dell’Iraq d’oggi. Infatti sebbene non ci siano statistiche
precise, si stima che attualmente 4-5.000.000 di iracheni vive al di fuori
della Nazione Irachena. Il pluripremiato regista Samir è nato a Baghdad ed ha
vissuto in Svizzera, fin da quando era bambino, mentre i membri della sua
numerosa famiglia sono sparsi in tutto il mondo - Abu Dhabi, Auckland, Sydney,
Los Angeles, Buffalo, Londra, Parigi, Zurigo, e Mosca - con solo pochi di loro sono
ancora residenti in Iraq. Raccontando la storia della sua famiglia e del suo
sradicamento, Samir racconta come i sogni di tanti iracheni, di voler costruire
una società moderna subito dopo l'indipendenza ottenuta nel 1950, sono stati
brutalmente infranti in mezzo secolo di storia.
E' stato pure commovente
l’omaggio di Christian Braad Thomsen al compianto amico e famosissimo
cineasta tedesco Fassbinder con il doc Fassbinder – To Love without
Demands. Una intervista- testamento morale del regista morto a soli 37 anni
nel 1982. Ci si chiede come mai a questo film insieme all’altro doc Censored
Voices del coraggioso cineasta israeliano Mor Loushy non sia andato
nessun riconoscimento. Il film mostra le
interviste a soldati reduci secretate dai servizi segreti israeliani ai tempi
della guerra dei 6 giorni. Per fortuna quest’ultimo uscirà nelle sale. Invece la
regista esordiente Laura Bispuri con Vergine giurata, tratto dal
romanzo di Elvira Dones, interpretata da Alba Rohrwacher, non è riuscita
ad emergere.
Per quanto riguarda la sezione
Forum, dove erano presenti cineasti dei cinque continenti, Histoire
de Judas di Rabah Ameur-Zaïmeche, storia senza tempo della amicizia che
legava Giuda Iscariota a Gesù, ha ricevuto il Premio della Giuria
Ecumenicale.
A Il gesto delle mani di Francesco Clerici è
andato il Premio FIPRESCI. E’ un doc sul lavoro di oltre cento anni di
una fonderia milanese di opere d’arte. Ecco la motivazione della Giuria:
Vediamo, sentiamo,
seguiamo e sentiamo una sinfonia: editing e suono formano un flusso unico,
imitando il lavoro di un processo unico. Immagini in bianco e nero di un tempo
si fondono dentro e fuori con la terracotta, tra cinquanta sfumature di rosso e
marrone, il tutto per finire immortalato nel bronzo, portandoci nel cuore e
nell’anima di una fonderia storica di Milano. I rimanenti quattro film su ben 43 film selezionati riguardano storie
molto particolari ma nello stesso tempo universali quali sono i rapporti
familiari spesso disturbati. Tra un ragazzo padre e la figlia adolescente nel
caso di Ben Zaken dell’israeliano Efrat Corem, tra un padre assente e la
figlia nel caso di Nefesim kesilene kadar (Until I Lose My Breath) del
turco Emine Emel Balcı, oppure tra due coniugi nel caso di Chaiki (I Gabbiani)
della russa Ella Manzheeva. Diverso invece il film Madare ghalb atomi
(Atom Heart Mother) dell’iraniano Ali Ahmadzadeh che racconta le contraddizioni
della attuale società iraniana. E’ del tutto evidente che dietro una storia di
due giovani amiche si cela invece il dramma femminile iraniano. Non è stato
premiato, invece il film finanziato dall’ultima Biennale College di Venezia.
Si tratta di H. degli esordienti Rania Attieh e Daniel Garcia.
H. sta per Helen. Anzi le Helen sono due. Due vite al femminile raccontate con
il notevole e imprescindibile apporto del sonoro.
In ultimo l’Orso di
Cristallo assegnato dalla Giuria popolare della Selezione autonoma Generation
Kplus è andato al delicato film My Skinny Sister della svedese Sanna
Lenken. Rapporto di due sorelle in età adolescenziale e preadolescenziale
con tutte le conseguenze del caso con finale a sorpresa. Lo stesso film ha
ricevuto la Menzione Speciale della Giuria Internazionale Generation
Kplus. Nella stessa selezione c’era anche il film già passato a Venezia Short
Skin di Duccio Chiarini che però no ha ricevuto premi.
Al film di
inaugurazione Prins (Prince), storia di un “principino” moderno dell’olandese Sam de Jong è andata
la Menzione Speciale della Giuria popolare di Generation 14plus.
Per noi “Il giro
del Mondo in 11 giorni” è stata una emozionante avventura cinefila. Infatti
la Berlinale si conferma un punto fermo dell’Industria Cinematografica
Internazionale insieme a Cannes e alla Mostra di Venezia. Vedremo
prossimamente quali sorprese ci riservano gli altri due Festival.
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