Descrizione

Anteprime e Recensioni Cinematografiche, tutto quello che c'è da sapere su Festival Internazionali del Cinema e quanto di nuovo succede intorno alla Settima Arte, a cura di Luigi Noera e la gentile collaborazione di Ugo Baistrocchi, Simona Noera e Marina Pavido.



venerdì 17 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#7 – 9/19 FEBBRAIO 2017

Nella sezione Berlinale Special un gioiello: la serie televisiva girata nel 1972 dal mitico Rainer Werner Fassbinder Acht STunden sind kein Tag in versione restaurata e rimasterizzata


(da Berlino la fattiva collaborazione di Marina Pavido - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)
 Cinque episodi per altrettante storie all’interno di una famiglia della media borghesia di Colonia. La nonna, un’amabile e brillante signora (Luise Ullrich), compie sessant’anni. A festeggiarla ci sono tutti: le due figlie, il marito di una di loro ed i nipoti. Jochen (Gottfried John), uno dei ragazzi, dopo aver incontrato per caso, vicino ad un distributore di bibite, la bella Marion (Hanna Schygulla), invita la ragazza alla festa a casa sua. Ed ecco, finalmente, iniziare le presentazioni. Da questo momento in poi – senza eufemismo alcuno – iniziamo noi stessi a far parte della famiglia a tutti gli effetti ed a voler letteralmente

bene ad ogni singolo personaggio. Perché fin dai primi fotogrammi ha il pregio di trasmettere quell’allegria, quella gioia di fondo che sarà caratteristica fondante di tutta la serie. Sullo sfondo, inoltre, la lotta operaia, uno dei temi portanti della cinematografia del regista bavarese.In questo mondo sereno ed un po’ naïf, di fatto, quello che manca – ripensando, appunto, a gran parte della produzione di Fassbinder – è proprio quel pessimismo di fondo, quella sorta di male di vivere che porterà il cineasta di lì a pochi anni a togliersi la vita. Ed è proprio il tono della serie TV ad aver sollevato a suo tempo – nel 1972 – non
poche critiche, soprattutto per quanto riguarda la sottotrama sui movimenti operai, considerati, all’epoca, come rappresentati in modo quasi irreale ed un po’ troppo semplicistico. Al punto di spingere Fassbinder stesso a fermarsi al quinto episodio. Eppure, ripensando alle scene più emozionanti di tutta la serie, non possiamo non ricordarne una ambientata proprio all’interno della fabbrica dove lavora Jochen, nel momento in cui gli operai decidono di firmare un foglio in cui chiedono al loro capo di riconoscergli alcuni diritti fondamentali: nessuno stacco di montaggio, un’unica carrellata in plongé che sta a simboleggiare, appunto, il forte legame tra i lavoratori e, infine, i volti sorridenti di tutto il gruppo. Il messaggio che Fassbinder ha voluto comunicarci è arrivato, così, indubbiamente forte e chiaro. Come, d’altronde, è sempre stato in tutte le sue produzioni.
Certo, a pensare che inizialmente ci fosse stata l’idea di girare più di cinque episodi, un po’ di rabbia viene eccome. Se non altro per il fatto che non ci si stancherebbe mai di questa sorta di favola fuori dal mondo. Così come non ci si stancherebbe mai di ascoltare e riascoltare l’allegro motivetto presente nella sigla di apertura e di chiusura di ogni singolo episodio, quando, con la fabbrica sullo sfondo, vediamo un timido sole sorgere lentamente sulla città di Colonia, dove le storie di Jochen, di Marion, di Monika, di Manfred, di Gregor e della mitica Oma, la nonna, stanno per intrattenerci per un’altra ora e mezzo che, come ogni volta, sembrerà durare appena poche decine di minuti.


giovedì 16 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#6– 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAYS 5/7)

Un ottimista AKI Kaurismäki ed una arguta Sally Potter infiammano la platea del Berlinale Palast, mentre Luca Guadagnino divide il pubblico con Call Me by Your Name.

(da Berlino Luigi Noera - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)
 Dopo un inizio di Festival all’insegna degli ousider nel fine settimana la platea viene conquistata dal finlandese Aki Kaurismäki e il suo attualissimo Toivon tuolla puolen (The Other Side of Hope). I mali del mondo d’oggi raccontati con una tale leggerezza e visti dalla parte sana dell’umanità. Il regista riesce a tirare fuori il meglio dallo spettatore che esce rinvigorito dalla sala. In stile musicale old country e ambientato in un imprecisato tempo nella Finlandia scorrono le vite di due uomini che alla fine si incontreranno e condivideranno le proprie aspirazioni. Non c’erano dubbi sulla riuscita della piece teatrale messa in scena da
Sally Potter in The Party con un cast eccezionale tra i quali il poliedrico Timothy Spall. In platea è stata una risata continua per l’humor made in England con una durata del film ridotta all’essenziale.   E’ riuscita pure l’idea del giapponese Sabu di mischiare elementi di gang story con la semplicità dell’umanità nel film Mr. Long in una coproduzione fra gli emergenti dell’Asia
(Giappone / Hong Kong, China / Taiwan / Germania). Di spessore sociale Una mujer fantástica (A Fantastic Woman) del cileno Sebastián Lelio (Cile / USA / Germania / Spagna) che però si arena in una interpretazione non proprio all’altezza della (del ?) protagonista. Non convince invece l’unico documentario in concorso sull’artista autore di controverse installazioni Beuys del tedesco Andres Veiel che si “dimentica” clamorosamente il passato non proprio limpido di Beyus. Si rimane interdetti poi dal film della portoghese Teresa Villaverde che con il suo Colo cerca disperatamente di convicere lo spettatore che alla base della distruzione della famiglia ci siano i venti di crisi economica che durano da troppo tempo. Il suo punto di vista non si può condividere perchè significherebbe sdoganare più in generale la mancanza di responsabilità degli adulti verso gli adolescenti. Se poi aggiungiamo lo stile noioso utilizzato dalla regista che mette a dura prova la pazienza dello spettatore. Infine si pone all’ultimo posto il racconto di appendice Return to Montauk di Volker Schlöndorff  (una delle tante otto tra produzioni e coproduzioni presenti in concorso) e ci domandiamo come abbia potuto trovare posto in competizione. Al riguardo la varietà di generi di quest’anno fa pensare che in fondo abbia ragione il patron della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda a proporre una selezione unica.  Che anche Dieter Kosslick si avvii su questa strada?
Invece Fuori Concorso due perle dal vecchio continente: il primo El bar (The Bar)di Álex
de la Iglesia (Spagna) fulminante trash e sanguinolento, come nella migliore tradizione latinoamericana iberica ma che attinge a piene mani dal più noto film coreano Treno per Busan. Il secondo Sage femme (Midwife) del francese Martin Provost. Un film ben confezionato nello stile collaudato francese che da una storia al femminile prende spunti di riflessione universali. Ritroviamo Caterine Denevue sulla via del tramonto. 
Berlinale Special  ha proposto tre mondi diversi. Dall’Irlanda con un cast eccezionale, tra i quali Ethan Hawke, una storia d’amore realmente accaduta sulle diversità. La protagonista Sally Hawinks merita un premio per la straordinaria interpretazione di Maudie. Il film di Aisling Walsh è una coproduzione Canada / Irlanda.
Dall’avanposto cubano dell’America Latina Fernando Pérez presenta Últimos días en La Habana(Last Days in Havana). Definito dallo stesso regista un film dall’anima profondamente cubana, si ritrovano tante analogie con il neorealismo italiano sugli ultimi. Chissà se mai passerà in ssale italiane? Il terzo The Lost City of Z dell’americano James Gray è invece l’omaggio ad un esploratore irlandese che contribuì alla scoperta dell’Amrica Latina.
Per quanto riguarda la sezione Panorama è stato il momento dell’Italia con Luca Guadagnino unico italiano selezionato con Call Me by Your Name, che ha diviso la platea. Questo è un indizio positivo anche se si tratta di un’opera di nicchia che troverà scarsa fiducia nella distribuzione italiana. Ma Guadagnino è abituato ad essere apprezzato all’estero.  Abbiamo notato che alla Berlinale 2017 tanti film sulla città che ospita il festival, l’ennesimo è Berlin Syndrome di  Cate Shortland.Film che vorrebbe essere un thriller ma non riesce astimolare lo speattore. Mentre per  Panorama Dokumente il film portabandiera di uno dei focus 2017: I Am Not Your Negro di Raoul Peck . Altro film su Berlino è Mein wunderbares West-Berlin (My Wonderful West Berlin) di Jochen Hick che racconta la storia della comunità gay di Berlino dal dopoguerra ad oggi dalla voce di illustri artisti gay. Dal Brasile la storia di come ha vissuto il paese sud americano la rivoluzione del 1968 nel
racconto con film amatoriali utilizzati per realizzare No Intenso Agora (In the Intense Now) di  João Moreira Salles. Sono pochi i film che ricordano la rivoluzione sessantottina che attraversò l’Europa durante la Guerra Fredda. Per finire dalla sezione Forum Joshua Z Weinstein ci racconta con Menashe le contraddizioni della comunità ebraica ortodossa di Brooklyn alle prese con la modernità.
E’ proseguito intanto l’interessante e proficuo programma dei Talents all’insegna del motto: Courage against all Odds, proponendo altre due master class di eccezione con l’attore Timothy
Spall e la regista Agnieszka Holland, il primo protagonista della piece teatrale di Sally Potter e la seconda autrice di un discutibile Pokot (Spoor) di cui vi abbiamo già riferito.
Al giro di boa della Berlinale restano quattro film in concorso dei quali l’animazione di LIU JON ed il manifesto morale del coreano Hong Songsao con il suo On the Beach at Nigth Alone i quali potrebbero cambiare i pronostici più accreditati che fino ad ieri stroncano la Potter con The Dinner e premiano il cileno Sebastiano Leo (dati aggiornati al sesto giorno prima che venisse presentato il film di AKI Kaurismäki).

lunedì 13 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#5 – 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAYS 2/4)

Dopo l’inaugurazione musicale con DJANGO le sorprese nel fine settimana vengono dall’Est Europeo e dall’America Latina e la deliziosa interpretazione di Geoffrey Rush.

(da Berlino Luigi Noera con la collaborazione di Marina Pavido - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale) Questo fine settimana ha visto passare tanti film attesi tutti con il denominatore comune di raccontare storie personali che in realtà volgono lo sguardo alla nostra umanità in bilico perenne senza certezze, soprattutto in questo periodo di globalizzazione anche dei rapporti umani. Ma andiamo con ordine. Abbiamo molto amato  Final Portrait di Stanley Tucci sia per l’interpretazione
di Geoffrey Rush ei panni di un artista italiano Giacometti con le sue debolezze, ma anche con il suo talento. Rush è entrato nel personaggio aiutato anche dalla potenza delle riprese che inpersonano il suo occhio attento di artista. Quelli che potevano essere gli outsider dei film in Concorso non hanno emozionato, piuttosto è stata una scoperta l’ungherese Ildikó Enyedi con il suo particolarissimo film Teströl és lélekröl(On Body and Soul). Pellicola sui
rapporti umani trasferiti in maniera onirica agli animali di cui l’uomo si ciba, con qualche spunto di thriller. Viene in mente che il sole è uguale per tutti gli esseri viventi. Nonostante lo sforzo registico le emozioni però non sono così intense. Altro film sui rapporti amorosi è stato proposto dal cileno Sebastián Lelio con Una mujer fantástica (A Fantastic Woman), dove sullo sfondo di un thriller si dipanano i diritti umani. Invece l’attesa opera della regista polacca Agnieszka Holland in una cooperazione internazionale (Polonia / Germania / Czech Republic / Sweden / Slovakian Republic) con Pokot (Spoor) non convince. Eppure i mezzi linguistici messi a disposizione dalla cineasta sono tanti che confondono lo spettatore e costringono lo script ha spiegare il finale banale. La storia si perde tra elementi animalisti e anticlericali con un improbabile lieto fine da delitto perfetto. Il ritmo è sostenuto dai mille particolari messi in campo in maniera ossessiva come lo è l’anziana protagonista del thriller fantasy. Il primo film americano Oren Moverman è The Dinner. Storia di fratelli vista mille volte. Il primo è uno sfigato non sempre ligio ai principi morali, l’altro è un disinvolto uomo di successo in carriera (questa volta politica) con un Richard Gere decisamente in declino. A questo aggiungiamo la storia parallella dei figli abbandonati a se stessi ed il gioco è fatto. Ci chiediamo come mai sia stato selezionato in competizione. In questo fine settimana pure due Opere Prime.
L’austriaco Josef Hader ci diverte con il suo Wilde Maus(Wild Mouse) offrendo un panorama dell’animo umano in situazioni di stress come può essere la perdita del lavoro. Soprattutto se si tratta di un lavoro dove la fortuna artistica degli altri è nelle tue mani. Si stiamo parlando di critica in questo caso musicale. Eppure alla fine rimane poco del film se non un amaro in bocca. Dobbiamo dire che nel panorama dei registi mitteleuropei il giovane esce fuori dai ranghi facendo fare prodezze agli attori in uno stentato italiano. Che sia un imitatore ddel nostro Checco Zalone? L’altra opera prima è del francese Alain Gomis che con una produzione multietnica (Francia / Senegal / Belgio / Germania / Lebanon) ci presenta una madre congolese Félicité alla prese con la salvezza del giovane figlio. Abbiamo sperato senza risultato che il film prendesse una sua strada, invece ci siamo dovuti accontentare delle belle musiche etniche africane affidate alla voce calda e disperata della protagonista.
Per ultimo lasciamo la parola a Marina Pavido che ci parla del film di apertura Django del francese  Etienne Comar alla sua Opera Prima
(recensione). Fuori Concorso un opera anglosassone: T2 Trainspotting sequel di Danny Boyle. Il cast è notevole però oltre alla nostalgia per i tempi che furono la pellicola sconta il paragone con l’originale che ventanni fa rivoluzionò il modo di fare cinema.
Sempre  interessante la sezione Berlinale Special che nel fine settimana ha proposto tdue documentary notevoli e due film storici. Partiamo con quello che si può definire un pugno

nello stomaco del messicano Everardo González che con La libertad del diablo (Devil's Freedom) affronta un tema tuttora irrisolto nel suo paese: I morti per il traffico di droga dei cartelli delle mafie locali. Icordiamo che il nostro regista Gianfranco Rosi è emerso proprio con questo tema qualche anno fa. La novità dell’autore messicano è che nella intervista di più di un ora sono coinvolti sia I carnefici che le vittime tutti con il viso coperto. Le loro emozioni e sentimenti sono macigni  per la nostra coscienza. Ci piace il titolo che parla del Diavolo in continua lotta nell’animo umano. L’altro documentario porta alla ribalta il tema dei diritti umani nella Russia di Putin con The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov deell’estone  Askold Kurov in una coprudozione Estonia / Polonia e Repubblica Ceca. E’ indubbio che questi ultimi due paesi si sentono in pericolo con la Russia di Putin per certi versi simile all’Unione Sovietica nella spartizione dopo la seconda Guerra Mondiale dell’Europa. La Crimea oggetto del doc ne è una riprova. Le alter due produzioni europee portano sul grande schermo due temi storici. Da una parte
Le jeune Karl Marx (The Young Karl Marx) di Raoul Peck (Francia / Germania / Belgium) e il nascere del comunismo e dall’altro le macerie del nazismo nel dopoguerra. Es war einmal in Deutschland... (Bye Bye Germany) di Sam Garbarski (Germania / Luxembourg / Belgium) sono le macerie da cui scappano gli ebrei sopravvissuti alla shoa. Passiamo alla sezioni dove trovano posto i film che per varie ragioni non sono in concorso. Per Panorama il film

inaugurale The Wound di  John Trengove che parla di riti tribali ed iniziazione all’età adulta dei giovani africani in un mondo moderno con tutte le contraddizioni che comporta. Il film storico sui colonizzatori brasiliani attraverso la saga di una famiglia di farmers: Vazante di  Daniela Thomas. Girato in bianco e nero ci riporta indietro nel tempo ma con le stesse problematiche attuali: la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Infine dalla Cina un film piccolo su una giovane: Ciao Ciao di Song Chuan. Il tema è noto: l’attrazione verso il progresso nelle grandi città nei confronti della vita semplice di campagna in una storia d’amore e di sesso. Per la sezione Panorama Dokumente vi proponiamo il film d’apertura Belinda di Marie Dumora. Un film intimo di due sorelle con alle spalle una famiglia d’origine difficile che nonostante tutto riescono a trovare una loro strada. Un film che da speranza ai tanti bambini, adolescenti che poi diventano adulti tra mille difficoltà.  Gli altri tre affrontano temi molto vari ma anche inediti. Ci ha colpito il doc di Andrea Luka Zimmerman che con Erase and Forget propone la vita di un veterano americano della guerra coreana fautore delle cosiddette „Forze Speciali“ in America. Una sorta di forze paramiltari che imbarazzano. Diversa la storia raccontata da Catherine Gund e Daresha Kyi in Chavela, biografia della cantante messicana che per prima fece outcoming (siamo negli anni ‘50/’60) e che tanto successo ebbe anche in Europa lanciata dal regista Spagnolo Almadovar. Per restare nel tema infine il volto omosessuale della Berlino degli anni ’70 e ’80 raccontata da celebri artisti di moda: Mein wunderbares West-Berlin (My Wonderful West Berlin) di Jochen Hick.  Terminiamo questa carrellata con tre film presentati nella sezione Forum. Il primo è un film al femminile: Barrage di Laura Schroeder con Isabel Hupert. Segue il film sperimentale documentario e per questo ostico El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki dove si alternano paesaggi inusuali della Terra con brevi poesie. Vi ricordiamo anche Tigmi n Igren (House in the Fields) di Tala Hadi che ha emozionato Marina Pavido. Con una troupe ridotta quasi all’osso, la regista ha seguito la vita di due sorelle, Fatima e
Khadija, scandita attraverso le stagioni in un piccolo villaggio pedemontano dell’Alto Atlante, le quali, da sempre legatissime, si trovano a dover affrontare – vivendo una vita tra il passato e il presente, tra tradizione e cambiamento – il non facile passaggio dall’infanzia all’età adulta in un tripudio di colori con canti e musiche invadono lo schermo. L’imminente matrimonio di Fatima sarà l’evento che segnerà definitivamente la vita delle due ragazzine. Dato l’approccio della regista, salvo qualche breve intervista, si è limitata a filmare la realtà così com’è   tranne alcuni che risultano staccarsi dal resto del documentario, in quanto risultanti eccessivamente costruiti. È però lo sguardo attento e affettuoso della regista a far sì che House in the field sia un piccolo gioiello di una cinematografia che difficilmente verrà distribuito in Italia, a meno che lo staff di MedFilm non lo catturi. In questo fine settimana nell’ambito dei Talents due Master Class seguitissime con il Presidente della Giuria Internazionale regista e sceneggiatore Paul Verhoeven e l’attrice americana Maggie Gyllenhaal e la seconda con l’artista Christo che ha raccontato la nascita, lo sviluppo e creazione delle sue installazioni coadiuvato da team di architetti ed ingegneri. Ha sottolineato che per lui non ci sono preferenze per una piuttosto che un’altra come non ci sono preferenze di un genitore verso i figli.

sabato 11 febbraio 2017

SPECIALE 67ma BERLINALE#4 – 9/19 FEBBRAIO 2017 (DAY 1)


Inaugurata questa edizione con un film opera prima sulla persecuzione dei nazisti che non convince del tutto


(da Berlino la fattiva collaborazione di Marina Pavido - Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)


Proponiamo del film di apertura Django – biopic dedicato al musicista Django Reinhardt,  opera prima del produttore cinematografico Étienne Comar, le emozioni e non di Marina Pavido.  Alla sua uscita dalla sala ci confida che purtroppo il film soffre della poca esperienza  cosicchè lo sguardo del regista – al di là del dramma personale messo in scena - non si allontana mai dal protagonista, non cerca di indagare circa il contesto storico, non va alla ricerca di qualcosa di nuovo, di qualcosa che ancora non è stato raccontato. Il risultato finale è un film sì ben girato, ma anche un prodotto come già se ne sono visti a bizzeffe e del quale, purtroppo, non resta molto, al termine della visione. In realtà qualche pregio ce l’ha eccome. Molto intensi, ad esempio, i primi piani dedicati a Reda Kateb, indovinato protagonista della pellicola forse a “rischio” di premio, così come “coraggiose” e ben sfruttate sono le carrellate/contre-plongé che
– nella scena iniziale – inquadrano uno ad uno i musicisti durante un’esibizione a teatro. Sempre d’effetto, tra l’altro, sono gli sporadici omaggi al cinema sparsi qua e là. Detto questo, Django non ha più niente da comunicare. Un film come tanti, un’ulteriore copia di quello che abbiamo visto da diversi decenni a questa parte. Si potrebbe addirittura affermare che – data la buona realizzazione unita ad una scarsa potenza dello script – questa opera prima di Étienne Comar possa classificarsi quasi come uno sterile esercizio di stile, che ben presto finirà nel dimenticatoio collettivo.Marina Pavido

mercoledì 8 febbraio 2017

SPECIALE 67MA BERLINALE#3 – 9/19 FEBBRAIO 2017: (DAY-1)


Nelle sezioni Panorama & Forum selezionate un centinaio di opere tra film e doc delle quali i due terzi in anteprima mondiale. Tra i selezionati 4 film di Final Cut in Venice, tra cui Félicité di Alain Gomis (Francia, Senegal) in Concorso.


(Le foto sono pubblicate per gentile concessione della Berlinale)

In particolare nella sezione Panorama verranno presentate 51 opere
provenienti da 43 paesi, tra cui 21 in Panorama Dokumente e 29 lungometraggi nel programma principale e Panorama Special.

Il Film The Wound inaugura il Programma Panorama mentre il focus di quest’anno si rivolge alle Black History e Europa Europa. Due temi importanti emergono tra i film selezionati: un approccio storicamente fresco di riflessione sulla storia dei neri in Nord America, Sud America e Africa (Non sono il tuo Negro, Vazante, The Wound), e "Europa Europa" , che esplora come le forze progressiste possano
meglio difendersi alla luce di un spirito dei nostri tempi  che sembra come se l’ieri sia ancora fra noi (Política, Manual de instrucciones, combattimento au bout de la nuit). Segnalimo anche Untitled Austria / Germania di Michael Glawogger, scomparso nel 2014 durante le riprese di un film. Monika Willi ha realizzato un film affascinante con il materiale che è stato girato durante un viaggio di quattro mesi e 19 giorni attraverso gli stati balcanici, l'Italia, e nord-ovest e l'Africa occidentale - un viaggio intrapreso al fine di osservare, di ascoltare e di sperimentare, con occhi attenti.
Invece Tiger Girl di Jakob Lass aprirà l'edizione di quest'anno di Panorama Special al cinema Zoo Palast di Berlino, insieme con la produzione brasiliana Vazante.
Ci sono poi ritorni di registi come il marocchino Hicham Lasri (Starve your dog) che torna per la terza volta con Headbang Lullaby. Ma anche Naoko Ogigami che ha già incantato il pubblico a Berlino con Megane nel 2008 e Rentaneko nel 2012. Quest’anno ci propone il tema di una famiglia particolare e il suo valore delle definito da amore e cura e non da convenzioni. Dalla Cina e da Hong Kong tre moderni film d'autore anticonvenzionali che sicuramente scandalizzeranno. Bing Lang Xue, Ghost in the mountains e Ciao Ciao dove si potranno ammirare i paesaggi mozzafiato degli altopiani cinesi.
C’è anche l’omaggio a Berlino dalla promessa di felicità che la città è venuto a rappresentare - tre film che rendono omaggio a questa visione in estremamente diverse maniere: Sindrome di Berlino del regista australiano Cate Shortland, la fiaba femminista Le Misandrists e un lavoro di fantascienza Fluidø dell'artista taiwanese-americano Shu Lea Cheang.
Tredici film sono stati scelti dall’ Europa. Il primo lungometraggio spagnolo Pieles (Skins) di Eduardo Casanova, Rekvijem za gospodju J. (Requiem per la signora J.) del serbo Bojan Vuletić, e dalla Ungheria Ferenc Török con 1945 ma anche il norvegese Erik Poppe con Kongens Nei (La scelta del Re), sulla resistenza della Norvegia alla Germania durante la Seconda guerra mondiale. Ricordiamo poi che tra gli europei c’è anche l’unico italiano Luca Guadagnino con il suo racconto produzione franco-italiana di un amore estivo al maschile, Call Me with your name, con Armie Hammer, Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg e Amira Casar, un adattamento cinematografico del romanzo omonimo di André Aciman, co-scritto con James Ivory.
Per quanto riguarda Panorama Dokumente la sezione si focalizza sui
regimi autoritari.
Ad aprire la sezione è stata scelta la produzione francese Belinda di Marie Dumora con un contributo per il focus tematico “Europa Europa". La storia del popolo jenisch che ha occupato una posizione difficile nel tessuto nazionale d'Europa da tempo immemorabile: come quella Sinti e Rom.
Sempre sul focus europeo il film brasiliano  Intenso Agora di João Moreira Salles, che documenta con materiale d’archivio gli eventi parigini del 1968 con riprese amatoriali sulla Primavera di Praga e riprese di inedite nel tessuto della società cinese di Mao.
Due film rivolgono la loro attenzione verso l'America Latina e le strutture che ancora risentono di forme autoritarie di sinistra e di destra della società. Sono Tania Libre di Lynn Hershman Leeson e  El Pacto De Adriana di Lissette Orozco. Tornando al presente c’è la coproduzione franco-svizzera-palestinese Istiyad Ashbah (Ghost Hunting) di Raed Andoni sulle tragiche esperienze detentive di un gruppo di ex detenuti in Israele. Son infine tre i documentari musicali che costituiscono un ultimo focus tematico, da un lato Chavela da Catherine Gund e Daresha Kyi con l’omaggio alla cantante messicana Chavela Vargas, il cui eccezionale talento la portò nelle sale da concerto più importanti del mondo. D'altra parte, due film sulla cultura della musica elettronica in Germania: un inventore, innovatore, un creatore di generi, che è Edgar Froese.Il film è Revolution of Sound. Tangerine Dream di Margarete Kreuzer è dedicato alla storia della band e della loro musica - mentre il regista Romuald Karmakar rivolge la sua attenzione con Denk ich un Deutschland in der Nacht allo sviluppo dei generi musicali in questione nel qui e ora, che ci permette di guardare e ascoltare dj notevoli mentre lavorano, tra cui Ricardo Villalobos, Sonja Moonear, Ata Macias, Roman Flügel e Move D / David Moufang.
Per quanto riguarda la selezione Forum 2017 in due parole può racchiudersi il tema trattato: realistico e surreale.
Arrivata alla sua 47ma edizione son 43 i film del programma principale, di cui 29 in prima mondiale e 10 come anteprime internazionali. Il programma di quest'anno spicca sulla pura ricchezza di forme impiegate dal documentario, ivi comprese le pellicole provenienti da sud-est asiatico, Europa, America del Nord, America Latina, Medio Oriente e Africa. Un motivo ricorrente è quello del paesaggio, che viene raramente relegato al rango di sfondo, ma spesso assume un ruolo di primo piano. Certamente tra questi sarà possibile come sempre trovare delle gemme. Ma ecco l’elenco:
2+2=22 [The Alphabet] di Heinz Emigholz
Adi ós entusiasmo (So Long Enthusiasm) di Vladi mir Durán
At Elske Pia (Loving Pia) di Daniel Borgman
Aus einem Jahr der Nichtereignisse (From a Year of Non-Events) di Ann Carolin Renninger, René Frölke
Autumn, Autumn di Jang Woo-jin
Barrage di Laura Schroeder
Bickels [Socialism] di Heinz Emigholz
Casa Roshell di Camila José Donoso
Casting di Nicolas Wackerbarth
Chemi bednieri ojakhi (My Happy Family) di Nana & Simon
Cuatreros (Rustlers) di Albertina Carri
Dayveon di Amman Abbasi
Di este [Uruguay] di Heinz Emigholz
Drôles d’oiseaux (Strange Birds) di Elise Girard
For Ahkheem di Jeremy S. Levine, Landon Van Soest
Golden Exits di Alex Ross Perry
Jassad gharib (Foreign Body) di Raja Amari
Loktak Lairembee (Lady of the Lake) di Haobam Paban Kumar
Maman Colonelle (Mama Colonel) di Di eudo Hamadi
El mar la mar di Joshua Bonnetta, J.P. Sniadecki
El mar nos mira de lejos (The Sea Stares at Us from Afar) di Manuel Muñoz Rivas
Menashe di Joshua Z Weinstein
Mittsu no hikari (Three Lights) di Kohki Yoshida
Mon rot fai (Railway Sleepers) di Sompot Chidgasornpongse.
Motherland (Bayang Ina Mo) di Ramona S. Diaz
Motza el hayam (Low Tide) di Daniel Mann
Mzis qalaqi (City of the Sun) di Rati Oneli
Newton di Amit V Masurkar
Occidental di Neïl Beloufa
Qiu (Inmates) di Ma Li
Rifle di Davi Pretto
Río Verde. El tiempo de los Yakurunas (Green River. The Time of the Yakurunas) di Alvaro Sarmiento, Diego Sarmiento
Shu'our akbar min el hob (A Feeling Greater than Love) di Mary Jirmanus Saba
somniloquies di Verena Paravel, Lucien Castaing-Taylor
Spell Reel di Filipa César
Streetscapes [Di alogue] di Heinz Emigholz
Tamaroz (Simulation) di Abed Abest
El teatro de la desaparición (The Theatre of Di sappearance) di Adrián Villar Rojas
Tiere (Animals) di Greg Zglinski
Tigmi n Igren (House in the Fields) di Tala Hadi d
Tinselwood di Marie Voignier
Werewolf di Ashley McKenzie
Yozora ha itsu demo saikou mitsudo no aoiro da (The Tokyo Night Sky Is Always the Densest Shade of Blue) di Yuya Ishii
Obour al bab assabea (Crossing the Seventh Gate) di Ali Essafi
Offene Wunde deutscher Film (Open Wounds – A Journey through German Genre Films) di Dominik Graf und Johannes F. Sievert.

Per ultimo siamo orgogliosi del fatto che siano ben 4 i film selezionati alla Berlinale di cui 3 provenienti da Final Cut in Venice 2016 sono Félicité di Alain Gomis (Francia, Senegal) in Concorso, The Wound di John Trengove (Sudafrica) in Panorama e Istiyad Ashbah (Ghost Hunting) di Raed Andoni  (Francia, Palestina, Svizzera, Qatar) in Panorama Dokumenta
Mentre il film selezionato alla Berlinale Forum da Final Cut in Venice 2015 è Tigmi Nigren (The House in the Fields) di Tala Hadid  (Marocco, Qatar)
Non resta che attendere domani l’apertura ufficiale con l'anteprima mondiale del debutto alla regia di Etienne Comar: Django che è in concorso ufficiale. Il film francese ruota attorno alla vita di  Django Reinhardt, famoso chitarrista e compositore, e il suo volo da una Parigi occupata dai tedeschi nel 1943.
Noi vi terremo informati!