dal Lido di
Venezia Luigi Noera – Foto per gentile concessione della Biennale. Nel fine
settimana grande attesa per il primo film degli italiani in concorso, il
documentario di D’Anolfi e Parenti, ma anche i primi due episodi della nuova
serie Tv firmata dal premio Oscar Sorrentino. Ma andiamo con ordine, sabato è
stata la volta del primo francese François Ozon in concorso a VENEZIA
73 con Frantz . Uno sguardo

diverso sui rapporti tra i popoli dell’Europa da poco dilaniata dalla Grande
Guerra. Rimorsi, difficoltà al perdono, non rendersi ancora conto delle parole
come Patria che tanti lutti ha provocato. Come detto da Barbera molti dei film
di questa edizione sono tratti dall’arte dello scrivere e infatti molte
pellicole di questa edizione lo sono. In questo caso si tratta di una piece
teatrale al quale ha attinto anche Lubitsch per parlare della Grande Guerra.
Intervistato al proposito Ozon ha ammesso di aver scoperto successivamente
l’anologia con l’opera di Lubitsch. E’ una storia all’incontrario dove il
vincitore chiede perdono al vinto. Il regista ha utilizzato sapientemente il
bianco e nero per virare in alcune parti al colore, aggiungiamo
forse troppe
volte. Eccezionale l’interpretazione sia del protagonista maschile che della
giovane vedova bianca. Il regista ha aggiunto: per me è stato molto importante
raccontare questa storia dal punto di vista tedesco, dalla parte dei perdenti,
attraverso gli occhi di coloro che furono umiliati dal Trattato di Versailles,
in modo da poter illustrare come la Germania di quel tempo fosse terreno
fertile per la diffusione del nazionalismo. Girato in Europa anche il Western
dell’olandese Martin Koolhoven che con il suo Brimstone
racconta una storia di
violenza nel West americano. L’opera è suddivisa in capitoli con una
somiglianza all’ultimo film di Tarantino dal quale prende a piene mani,
raccontando però una storia tutta al femminile. Si potrebbe definire un
thriller western con un finale da capogiro nel quale tutto è il contrario di
tutto. C’è il sapiente dosaggio di empatia verso il cattivo, ma soprattutto un
incoraggiamento verso l’eroina Litz. Qualcuno ha detto che è un film sulla
religione e sulla violenza, direi piuttosto sulla violenza che strumentalmente
si copre sotto una patina di pseduo religiosità. Secondo l’autore ogni regista
di cinema adora i Western, ma è difficile creare qualcosa di originale con un
genere che vanta così tanti e grandi predecessori. Per questo motivo sono
passati anni, prima che trovasse il coraggio di scriverne uno. Lo voleva
originale e diciamo che non è così ma olandese invece si! Nella stessa giornata
di domenica il red carpet ha visto ospiti FUORI CONCORSO l’autore Paolo Sorrentino e il protagonista
Jude Law di The Young Pope (episodi I e II). Storia
fantasiosa di un
altrettanto fantasioso Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo papa americano
della storia che giunge sul soglio Pontificio. Purtroppo alle scene di matrice
felliniana che ritroviamo spesso in Sorrentino si accostano dei facili luoghi
comuni ed il risultato sono gli alti ed i bassi della pellicola d’autore
pensata per il piccolo schermo. L’interpretazione di Silvio Orlando invece ne
conferma un grande artista napoletano e lo vediamo muoversi agevolmente nei
panni del Segretario di Stato a contrastare il vento nuovo del giovane Papa. Riportiamo
cosa ha mosso Sorrentino in questa difficile impresa: I segni evidenti
dell’esistenza di Dio. I segni evidenti dell’assenza di Dio. Come si cerca la
fede e come si perde la fede. La grandezza della santità, così grande da
ritenerla insopportabile. Quando si combattono le tentazioni e quando non si
può fare altro che cedervi. Il duello interiore tra le alte responsabilità del
capo della Chiesa cattolica e le miserie del semplice uomo che il destino (o lo
spirito santo) ha voluto come pontefice. E’ storico invece Miljeong
(The Age of Shadows) del coreano
Kim Jeewoon . Anche in Asia la storia della resistenza per la patria è fonte di ispirazione
degli autori cinematografici. La messinscena risente della spettacolarità del
cinema sudcoreano e della precisione di ogni dettaglio. Una produzione che non
ha badato a spese ed il risultato si vede. Siamo alla fine degli anni venti
durante l’occupazione giapponese della Corea. A confronto due coreani che però
combattono per ideali opposti Lee Jung chool, coreano agente nella polizia
giapponese, e Kim Woo jin capo della resistenza. Il regista confessa che tutto è partito dalla sua attrazione
per i film di spionaggio. Miljeong è una drammatizzazione dell’attentato
dinamitardo commesso da Hwang Ok ai danni di un comando di polizia nel 1923,
durante l’era coloniale giapponese. “Volevo pervadere il film dell’emozione che
provavo quando leggevo delle lotte dei combattenti per l’indipendenza, che si
adoperavano per riscattare lo spirito delle persone che avevano perso il loro
paese”.
Ci domandiamo perché non è stato selezionato in concorso. Nella
selezione ORIZZONTI invece due film dal Belgio, il primo attualissimo sul
rapporto degli adulti nei confronti di una adolescenza priva di ideali che si
trasforma in noia e violenza per scaricare l’adrenalina. Si tratta di Home di
Fien Troch che racconta appunto di due generazioni in conflitto. L’arrivo di un
giovane diciassettenne uscito dalla casa di correzione provoca la rottura dei
delicati (direi insulsi) equilibri familiari. Ma c’è anche il rapporto insano di una madre single con
John il suo unico figlio. La tragedia incombe sullo spettatore che
improvvisamente si ritrova inorridito a fare i conti con la propria coscienza
di genitore. E se fosse successo a me? Come spiega l’autore, con Home ho scelto di girare un film corale,
perché volevo ritrarre sia una generazione, sia una comunità. Il secondo è un
documentario fuori dai canoni King of
the Belgians di Peter Brosens, Jessica Woodworth parla di Re Nicola III del
Belgio in un road movie in cui un re apatico, perduto nei Balcani, finalmente
riesce a destarsi. L’idea ai registi è nata dopo l’eruzione di un vulcano
islandese. Con i seguenti ingredienti: un re belga in visita ufficiale a
Istanbul, un evento naturale inatteso, una crisi politica e il resto è appunto un
viaggio di ritorno via terra, tra ostacoli, rese dei conti e rivelazioni
finali. In altre parole: spiazzamento come essenza della commedia. Grazie alla
lente del regista inglese Duncan Lloyd che ha filmato la visita e che diventa
il solo e unico occhio che ci mostra sei giorni straordinari. In questo fine settimana anche i Venice Days
non hanno deluso con l’opera prima POLINA, DANSER SA VIE dai francesi Valérie
Müller e Angelin Preljocaj. Al di là della storia è un inno alla danza
attraverso la passione e l’amore della giovane Polina per l’arte. Ritroviamo
una fresca Juliette Binoche nella parte di una inflessibile e straordinaria
direttrice di un istituto di danza, ma anche il maestro Bojinski interpretato
da Aleksey Guskov ( chi non ricorda The Concert?) che insieme alle due giovani romesse
della regia mettono insieme un puzzle di emozioni oltre la danza. Ispirato alla
graphic novel di Bastien Vives, «il viaggio di Polina – dicono gli autori – è
tanto un’avventura fisica ed emotiva quanto un percorso di crescita artistica».
Nella
giornata di sabato si è svolta CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEL DWA – DOC/IT WOMEN
AWARD con l’annuncio della vincitrice e le finaliste del PREMIO
OSPITI DELLE GIORNATE DEGLI AUTORI – VENICE DAYSHa vinto il
DWA il progetto Rhapsodyin June di Barbara Andriano e Guendalina di Marco una produzione
Filmika. Il progetto racconta la vita rocambolesca dell’ultima principessa di
Birmania. Yadana Nat May, Maria Lucia Postiglione, June Rose Bellamy. Tre nomi
diversi che raccontano la vita di una donna sui generis dal fascino senza
tempo. Volitiva e coraggiosa ha vissuto all’insegna del “carpe diem” e del suo
smodato bisogno di libertà. Ultima
principessa della dinastia reale Birmana, dotata di una disarmante bellezza, è
stata moglie di un malariologo napoletano, compagna di un mossiere senese e sposa
del feroce Ne Win, dittatore della Birmania. Sullo sfondo l’affresco di un
paese che ha cambiato volto, un discusso matrimonio e infine la cucina come
seconda possibilità per una nuova vita.Sono stati
ben 64 i progetti arrivati e sottoposti alla giuria presieduta da Agnese
Fontana – Presidente di Doc/it, affiancata da Sherin Salvetti, General Manager
di A+E Networks Italy, Iole Giannattasio – Rappresentante italiana di
Eurimages, Paolo Butturini, Segreteria Federazione Nazionale della Stampa
Italiana, Giuliana Gamba, Giornate degli Autori, Venice Days. Cristina
Priarone, Direttore Roma Lazio Film Commission.“Siamo molto
felici di questa prima edizione del DWA – dichiara Agnese Fontana, Presidente
di Doc/it – che ha avuto grandissima partecipazione e ha dato la possibilità
alle finaliste di presentare il proprio progetto a Venezia all’interno delle
Giornate degli Autori. Insieme ai nostri partner lavoriamo affinché questo
premio sia un’occasione professionale vera di visibilità e di incontro con il
mercato. DWA è una proposta concreta per favorire lo sviluppo di progetti
documentari con una pluralità di racconto volta alla creazione di un fondo per
lo sviluppo a lungo termine”.Gli altri
progetti finalisti del DWA sono: A Kurdish Women's Dream di Giulia Bertoluzzi,
Costanza Spocci e Eleonora Vio, una produzione Small Boss e Nawart Press,
Almost Nothing _ Cern. A social experiment di Anna de Manincor (ZimmerFrei),
Anna Rispoli, una produzione Bo Film, Uncut di Simona Ghizzoni e Emanuela Zuccalà una produzione Zona e Voglio una ruota di
Antonella Bianco, una produzione
Gamera.
Nella
giornata di domenica invece per VENEZIA 73 l’attesissimo Spira
mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Purtroppo le aspettative non
sono state confermate ed alla proiezione stampa si sono avute notevoli
defezioni man mano che le immagini scorrevano sullo schermo. La domanda che viene
spontanea è come mai sia stato scelto questo doc a scapito di altri come ad
esempio uno per tutti Francesco Munzi il quale, anche se di casa a Venezia, non
è tenuto nel giusto conto ma è stato relegato nella selezione Fuori Concorso
(sic!). Invece amabilissimo il film argentino in concorso El ciudadano ilustre
di Mariano Cohn e Gastón Duprat. Anche in questo caso tratto da un
lavoro dello
scrittore argentino Daniel Mantovani che
vive in Europa da trent’anni e Premio Nobel per la letteratura. Da uno dei suoi
romanzi sulla vita di Salas, paesino in cui è cresciuto e dove non è mai più
tornato da quando era ragazzo. Da un lato il desiderio di tornare una volta
alla terra natia, dall’altro differenze che lo trasformeranno rapidamente in un
elemento estraneo e di disturbo per la vita del paese. Sono tante le scene
esileranti e grottesche che ne fanno un capolavoro da premiare. A dire degli
autori il film salda il debito per mezzo del protagonista Mantovani, che
ottiene il premio che fu per anni negato a Jorge Luis Borges. Domenica è stata
poi la giornata dell’epopea del primo soldato obiettore di
coscienza dell’esercito
degli Stati Uniti. Parliamo del film FUORI CONCORSO Hacksaw Ridge di Mel Gibson
storia vera di Desmond Doss che, a Okinawa, durante una delle più cruente
battaglie della seconda guerra mondiale, salvò 75 uomini senza sparare un solo
colpo. Il film purtroppo sconta un certo tipo di spettacolarizzazione hollywoodiana
con effetti speciali da nmal di pancia e in taluni casi esagerati anche nella
durata. Lunedì aspettiamo il responso della sala per il secondo italiano in
gara: Piuma di Roan Johnson.
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