Rosso Istanbul nelle sale italiane dal 2 marzo – la recensione di Marina Pavido
Rosso Istanbul è l’ultimo
lungometraggio del regista turco naturalizzato italiano Ferzan Ozpetek -
Italia, Turchia, 2017, 115’ Orhan e Deniz sono amici da molti anni, pur non vedendosi da parecchio
tempo. Nel maggio 2016, però, Orhan, scrittore di successo, tornerà ad Istanbul
per aiutare Deniz – diventato, nel frattempo, uno stimato regista
cinematografico – a finire la scrittura del suo ultimo libro. In seguito alla
misteriosa scomparsa di Deniz, l’uomo avrà modo di entrare nella vita
dell’amico, conoscendo i suoi famigliari e le persone a cui era maggiormente
legato, Neval e Yusuf. In questa occasione lo scrittore avrà modo anche di
rivivere il proprio passato, iniziando un lungo e spesso doloroso processo di
autoanalisi.Detto questo,
l’andamento di tutto il lungometraggio può essere facilmente immaginato. Salvo
qualche interessante movimento di macchina che, vuoi in panoramica dall’alto,
vuoi lungo le strade, ci mostra la bellissima città di Istanbul, infatti,
quello a cui assistiamo è qualcosa che per andamento narrativo ci ricorda molto
Cuore sacro e che, per tematiche, somiglia a qualsiasi altro film di Ozpetek,
da Mine vaganti a Le fate ignoranti, fino a toccare, per certi versi anche Magnifica
presenza (dove, tuttavia, un tono molto più leggero aveva fatto da protagonista
per quasi tutta la pellicola). I temi dell’omosessualità e del ritorno
inaspettato del passato, uniti ad una certa componente spirituale e, se
vogliamo, sovrannaturale, dunque, vengono ancora una volta mescolati per dare
vita ad un prodotto al solito altamente pretenzioso, con personaggi secondari
sì potenzialmente interessanti, ma, purtroppo talmente stereotipati e poco
naturali da risultare sovente finti e, a tratti, addirittura come delle
macchiette (vedi, ad esempio, la scena in cui Orhan conosce, durante una cena,
le due zie di Deniz e si trova, dunque, circondato dalle donne che hanno da
sempre fatto parte della vita dell’amico).Malgrado la somiglianza con
precedenti opere, però, di fatto Rosso Istanbul potrebbe essere
considerato quasi una summa di tutta la cinematografia di Ozpetek, dal momento
che qui il regista, portando, in qualche modo, il suo stile all’estremo, si
perde a tal punto nelle sue stesse elucubrazioni introspettive ed
autoreferenziali da far perdere man mano (volutamente o meno) nerbo a tutta la
storia, diventata, a questo punto, una mera e piuttosto debole cornice. Ed
anche se, di fatto, si possono immaginare le iniziali intenzioni dell’autore,
il risultato è un prodotto che via via che ci si avvicina alla fine, sfianca
sempre di più, con un protagonista che risulta a tratti urticante ed una trama
di cui, di fatto, piano piano non ci importa più.Eppure, il ritorno ad Istanbul, aveva fatto ben sperare anche in un
possibile cambio di rotta da parte di Ozpetek. O magari anche solo in un
possibile focus sulla situazione politica della città stessa, visto il
difficile 2016 appena trascorso ed i numerosi spunti che un luogo del genere
può offrire. Ma, alla fine, c’è stato ben poco da sperare. A Ferzan Ozpetek
piace a tal punto fare il Ferzan Ozpetek che, ormai, già si può immaginare dove
i suoi prossimi lavori andranno a parare. Fino al momento in cui ci si renderà
conto (forse), che il (bel) cinema è, di fatto, altro.
Marina Pavido
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